by Sergio Segio | 1 Dicembre 2013 8:49
ROMA — Sono gli ultimi giorni da segretario, ma non rimpiange la scelta di non essersi candidato alle primarie, di rinunciare a guidare quello che al momento è il più grande partito italiano. Non si è «pentito» Guglielmo Epifani: dopo la Cgil e dopo questa breve stagione a capo del Pd «era giusto» lasciare il testimone alla «nuova generazione» dei Renzi-Cuperlo-Civati. Ma non per questo rinuncerà a fare politica. E, soprattutto, prima dell’addio alla segreteria del partito, che avverrà formalmente una settimana dopo le primarie — cioè con la Convenzione che incoronerà il suo successore — Epifani non rinuncia a dire la sua sulla nuova maggioranza, sulle scelte che dovrà fare il premier Letta e sull’imbarazzante caso De Luca, al governo ma sempre sindaco di Salerno.
Segretario, la maggioranza che guida il governo è cambiata. Come si comporterà il Pd?
«È evidente che siamo di fronte a uno scenario politico diverso da quello che ha dato vita al governo Letta la scorsa primavera: ad andarsene non è stata una piccola parte del Pdl, ma la sua maggioranza. Non è più un esecutivo di larghe intese, si potrebbe definire un “governo di servizio” per il bene del Paese. A questo punto è necessario un passaggio parlamentare».
Nelle prime ore dopo la scissione del Pdl Enrico Letta non sembrava averlo messo in conto. Poi è intervenuto il Quirinale con la richiesta esplicita di questo «passaggio». È rimasto spiazzato?
«Per nulla, perché in effetti la maggioranza c’era, come ha dimostrato il voto di fiducia sulla legge di Stabilità, ma era comunque evidente la necessità di un chiarimento di fronte a cambiamenti significativi di una coalizione».
Forza Italia chiede che ciò avvenga con le dimissioni preventive del premier.
«Una richiesta infondata. Normalmente ci si dimette solo quando non si ha più una maggioranza. Invece Letta ha dimostrato di averla».
C’è chi chiede un rimpasto, visto che la rappresentatività di alcune delegazioni, come quella dei 5 ministri ex pdl passati al Nuovo centrodestra, appare non proporzionata. Le sembra necessario?
«La parola rimpasto è una parola sbagliata. Tocca al premier decidere come rafforzare l’azione dell’esecutivo e il suo profilo. Al suo posto io metterei mano anche alla formazione della squadra di governo non in ragione di equilibri politici, ma del rafforzamento della sua azione. Ma prima ancora chi sta al governo e sostiene un partito che si è messo all’opposizione è pregato di fare la scelta conseguente».
A proposito di rimpasto. Cosa pensa del sindaco-sottosegretario Vincenzo De Luca, finito sotto inchiesta e ora preso di mira dal Garante della concorrenza per il doppio incarico?
«Dopo la formalizzazione del caso a opera del Garante è chiaro che non si può più aspettare. Letta deve scegliere con De Luca tra le due opzioni: o quella di governo o quella di sindaco».
Che battaglie dovrà fare il Pd alla luce del chiarimento parlamentare dei prossimi giorni?
«Partiamo dalle riforme di base, dove è più facile trovare una convergenza: superamento del bicameralismo, riduzione del numero dei parlamentari e riforma elettorale. Cose da fare in fretta, per dare una risposta di riforma al Paese e perché i tempi che ha di fronte a sé il governo non sono infiniti».
Letta ha parlato del 2015.
«Sto alle dichiarazioni che ha fatto. Ma per riassumere la mia visione dico che Letta dovrà rispondere di fronte al Parlamento a tre domande: quanto durerà l’esecutivo, quali riforme dovrà realizzare e come vorrà rafforzarne l’azione per arginare una crisi economica ancora troppo pesante».
Si dice che ora, senza il «peso» di Silvio Berlusconi, potrà correre più veloce.
«Certamente si tratta di una coalizione più coesa, ma attenzione: se non saranno avviati interventi energici sul piano sociale e del lavoro è una chance si ritorcerà contro tutti i partiti che la compongono e, per primo, contro il Pd. Nulla ci sarà più perdonato: agiamo con forza o rischiamo di essere travolti da un’ondata di populismo e demagogia che già sta influenzando molti Paesi Ue».
Quali sono le urgenze?
«Occorre rispondere in fretta ai quesiti irrisolti della legge di Stabilità, al rebus incredibile dell’Imu, poi affrontare il tema del lavoro e dell’occupazione, sanare le ferite aperte di Alitalia e Telecom, chiedere alla Fiat di investire di più in Italia… ma soprattutto approfittare del semestre di guida dell’Unione Europea per cambiare direzione: non si vive di sola austerità, legati a doppio filo al primato degli interessi della Germania».
Aiuterebbe qualche forma di patrimoniale, tema entrato anche nella campagna delle primarie del Pd?
«Senza dubbio occorre diminuire le tasse sul lavoro e le imprese e, quindi, per trovare le risorse, aumentarle sulle cose. L’Imu era già di fatto un’imposta sul patrimonio immobiliare. Se invece si vuole allargare il discorso all’insieme delle ricchezze patrimoniali, non bastano le idee di qualche imprenditore illuminato, ma occorre investire di questo tema tutta la società».
Come le è sembrato il confronto televisivo fra i tre candidati del Pd?
«Mi hanno fatto una bella impressione perché esprimevano un rinnovamento anche nel linguaggio: è da lodare la solidità di Cuperlo, l’estro di Civati, la forza di Renzi».
Si è pentito di non essersi candidato?
«No. Sono stato chiamato a fare il segretario di garanzia, quindi garante di tutto il Pd, non solo di qualcuno. E a questo ruolo sono rimasto fedele e sono d’accordo con il rinnovamento anche generazionale. Io quando fui chiamato a dirigere un’importante categoria nazionale del mio sindacato non avevo neanche trenta anni. Fu una scommessa e un atto di generosità da parte della classe dirigente della Cgil. Non averla avuta in passato ha creato molti problemi e non solo nel mondo della politica».
Che cosa farà dopo le primarie?
«Mi dedicherò con più impegno alla presidenza della commissione Industria della Camera continuando a dare una mano».
Il nuovo segretario dovrà continuare a sostenere il governo Letta o avrà le mani libere?
«Credo che per il bene del Paese si debba comunque continuare a sostenere questo esecutivo: con la crisi in atto, la ripresa che non si intravede ancora, il rischio di tornare alle urne con il Porcellum , è una strada obbligata. Ma, certo, occorre imporre un salto di qualità».
Roberto Zuccolini
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