Vite spinte ai margini dal tritatutto della crisi
Morire di non lavoro, di Elena Marisol Brandolini (ediesse, euro 10,00 pagine 152). «È un libro denuncia sulla condizione in cui sono costretti a vivere i cittadini – spiega la giornalista – con un focus su Italia e Spagna. Io sono fortunata perché il mio lavoro mi consente di raccontare storie di persone e così di denunciarle e consegnarle all’attenzione pubblica». A partire dunque dalla sua professione la Brandolini, grazie anche ai protagonisti della crisi che sta mettendo in ginocchio numerosi cittadini, costretti ormai da diversi anni a ricorrere a vere strategie di sopravvivenza, in questo libro affronta la crisi economica mettendo l’accento sull’austerità, il non lavoro, i suicidi, gli sfratti e dunque la mancanza di politiche adeguate, doverose e utili, invece, per risollevare le condizioni di chi oggi non ce la fa più.
Il quadro e il ragionamento che emerge da questa pubblicazione è molto chiaro, nonché drammatico. L’Italia e la Spagna sono tra le nazioni in cui la crisi ha portato alla luce due grandi e gravi drammi: da una parte parliamo della mancanza di lavoro che ha causato la non volontà da parte di chi lo perde di cercare altro impiego, dall’altra prevalgono la rabbia e la disperazione che questa condizione ha creato, fino a determinare la tragica realtà del suicidio, prima come risposta individuale poi, addirittura, collettiva.
Nel primo caso oggi in Italia, dati recenti rilevati dall’Istat nel secondo trimestre 2013, parlano di «1,3 milioni di persone scoraggiate, quelle che non si sono dunque attivate nella ricerca di un altro lavoro pensando di non poter trovare alcun impiego». Un dato che comincia a presentare con forza la sua drammaticità e che porta ad affrontare anche il tema del suicidio come reazione di chi non riesce a reagire alla perdita del lavoro, che in una sorta di reazione a catena poi causa la perdita della casa, e presenta anche la mancanza di servizi sociali che invece dovrebbero intervenire per supportare chi versa in situazioni di evidente disagio.
In Catalogna, secondo quanto racconta la giornalista, il suicidio è forse più rilevante. «Ad acuire il numero di suicidi – spiega – è stato il problema degli sfratti. In Catalogna – continua l’autrice – del suicidio se ne è iniziato a parlare con il problema degli sfratti. All’inizio infatti era argomento sui cui si taceva, perché tra il governo e aziende trasporti sembrava esserci un accordo. Era la volontà di non far emergere il problema, e anche quello di non permettere di far accrescere l’emulazione». In Italia la realtà è differente perché rispetto alla Spagna ha meno residenti che promuovono piattaforme, grazie alle quali a prevalere è la capacità di lotta così come vere strategie di associazionismo. La società civile resta un elemento di grande forza. Ma nello stivale a essere colpito è il ceto medio, quello che oggi non c’è più. E, se parliamo di suicidio, non possiamo non citare imprenditori della piccola e media impresa, i più incapaci a reagire alla crisi.
Un ragionamento importante quello che si può trarre da Morire di non lavoro: la necessità di politiche di reddito alla cittadinanza. Prestare attenzione sul tema dei suicidi. «Perché chi perde il lavoro – spiega la Brandolini – non è clinicamente un malato mentale spinto al suicidio dalla malattia mentale, ma è spesso una persona che si trova senza vie di uscita e sceglie il suicidio come soluzione razionale».
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