Un sistema da mettere sottosopra
Un’analisi e una proposta di riforma radicale delle politiche sanitarie. Un libro coraggioso in assenza dell’interlocutore istituzionale Il libro di Ivan Cavicchi Il riformista che non c’è. Le politiche sanitarie tra invarianza e cambiamento (Edizioni Dedalo, euro 16) non poteva essere pubblicato in un momento migliore. La sanità è al centro di un conflitto strategico tra politiche che vorrebbero controriformarla (selettività in luogo dell’universalismo, restrizione delle tutele, indigenti quali unici beneficiari, tagli lineari) e politiche ex riformatrici che prive di una strategia di rinnovamento vorrebbero conservarla tirando in qualche modo a campare (manutenzione, gestione, razionalizzazione, efficenza). Il libro di Cavicchi propone la famosa «terza via»: riformiamo in profondità la sanità pubblica ricontestualizzandone i valori, l’organizzazione, i contenuti, i modi di essere, i costi. Cioè «reinventiamola». Lo scopo di fondo di questa proposta è di creare condizioni di compossibilità (come direbbe Leibnitz) per far coesistere senza contraddizioni diritti, conoscenze, limiti economici, lavoro. Una idea di riforma quindi piuttosto impegnativa, che è indirizzata a quel «riformista che non c’è» che per il nostro autore, alludendo alla politica, resta il problema dei problemi.
Una spesa qualificata
Le ragioni per convincere il «riformista che non c’è» a voltare pagina sono diverse. In primo luogo dice l’autore, abbiamo contratto da almeno 30 anni un debito culturale con il cambiamento, cioè abbiamo cambiato poco e marginalmente i modelli sanitari ereditati dal precedente sistema mutualistico. Oltre ai problemi finanziari quindi vi sono quelli non meno gravi e dispendiosi, di regressività culturale che, in molti casi, hanno contrapposto la sanità pubblica alla società dei bisogni. In secondo luogo è cambiato il presupposto che per circa un secolo è stato alla base della nascita del Welfare State, cioè l’alleanza tra etica e economia. Oggi la sanità deve fare i conti con il «post welfarismo» quindi con il conflitto tra diritti e risorse che tende a liquidare i diritti. In terzo luogo le politiche sanitarie in auge sono inadeguate e insufficenti, tanto nei confronti dell’esigente (come chiama Cavicchi l’ex paziente) quanto nei confronti della oggettiva necessità in tempi di crisi, di sgonfiare e qualificare la spesa.
Cavicchi dimostra che insistere ad adottare politiche marginaliste per ottimizzazione e rendere più efficiente un vecchio sistema pseudomutalistico, non ha molto senso. L’anacronismo dice Cavicchi si supera non si ottimizza. ll sistema sanitario da oltre un secolo è stato concepito per divisioni, giustapposizioni, contrapposizioni tra servizi, tra professioni, tra scopi e funzioni, tra territorio e ospedale, tra cure primarie e cure specialistiche: e questo non funziona più. Oggi in sanità è molto di moda, soprattutto per l’organizzazione ospedaliera, la metafora della ruota (hub spoke), cioè un centro ospedaliero di eccellenza (hub) al quale afferiscono i raggi cioè le strutture ospedaliere minori (spoke). Nella sua proposta Cavicchi – fattore già presente nel suo precedente lavoro (I mondi possibili della programmazione sanitaria. Le logiche del cambiamento McGraw Hill) – è come se cambiasse la metafora: ricollocare l’hub dall’ospedale al luogo di vita del cittadino riorganizzando dentro una idea di «unità delle tutele», tutto il sistema sanitario (spoke). Tra luogo di vita e sistema sanitario vi è un relais cioè una cabina di regia (distretto) che regola in rete tutti i vari percorsi terapeutici. Ciò senza sacrificare i diritti avrebbe incredibili effetti di riduzione della spesa e di accrescimento della qualità dell’assistenza.
Ma la proposta strategica di Cavicchi è efficacemente sintetizzata dall’autore nella prefigurazione di un altro modello di tutela intendendo per tutela un certo consumo sanitario e quindi un certo uso della medicina. Cavicchi sembra categorico: nessuna politica di riqualificazione della spesa e di accrescimento della soddisfazione sociale, sarà convincente se non si riforma il genere di consumo medico-sanitario, quindi se non si interviene a livello di domanda espressa, di struttura dell’offerta, di modalità produttive, di sistemi organizzati, di professioni, di governance. Si tratta quindi di riformare il modello di tutela vigente quello che, ci ricorda Cavicchi con una punta di rammarico, avremmo dovuto riformare già a partire dalla riforma del 1978.
Una visione d’insieme
Come fare? Cavicchi fa seguire ad analisi stringenti altrettante e ben articolate proposte. La prima è ricontestualizzare l’art. 32 della Costituzione per restituire al diritto alla salute tutta la sua complessità e quindi liberarlo dalle ingenuità del diritto naturale ma solo per fare più salute riorganizzandone la funzione. La seconda è ripensare la medicina come modo di conoscere e di fare, quasi a dirci che il consumo e l’uso di medicina, cioè la tutela, riguarda il consumo e l’uso della conoscenza scientifica. Quindi i contenuti che sono nei contenitori. La terza, che costituisce il «reattore principale» di tutta la sua proposta, è la riforma del lavoro professionale dove Cavicchi arriva a reinventare la figura dell’operatore, quindi a reinventare forme contrattuali, statuti giuridici, atti professionali, modi retributivi. La quarta è una politica sanitaria di rimodellizzazione dei servizi perchè l’epoca delle politiche marginaliste, cioè della manutenzione della «supermutua», è finita.
Un gran bel libro, coraggioso, pieno di passione scritto perchè tutti insieme si affronti e si risolva una volta per tutte il problema del «riformista che non c’è».
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