Un partito oscillante tra Quirinale e prossimo congresso

by Sergio Segio | 19 Novembre 2013 11:03

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Il successo dipende soprattutto dal fatto che il grosso del partito si è già conformato alla sua agenda. La richiesta di dimissioni del Guardasigilli per le telefonate con la famiglia del costruttore Ligresti verrà discussa oggi dai parlamentari del Pd. E benché finora non risultino rilievi penali, ma questioni di opportunità politica, l’ipoteca di una mozione di sfiducia presentata dal movimento di Beppe Grillo è stata sfruttata al volo da Renzi. E i Democratici si stanno adeguando alla linea del probabile futuro segretario.
Sembrano sottovalutate le conseguenze che le dimissioni potrebbero avere sul governo di Enrico Letta, così come i timori del Quirinale su una crisi di governo: anche se probabilmente è il contrario. Sono in primissimo piano nella strategia renziana proprio perché appaiono chiare. Il sindaco di Firenze ha ingaggiato una metodica strategia del distinguo sia nei confronti del premier, sia soprattutto del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Renzi punta da mesi al logoramento della maggioranza delle “larghe intese”, intercettando e alimentando i malumori di gran parte della sinistra per un’alleanza che include il partito di Silvio Berlusconi.
Il fatto che dopo la sua decadenza da senatore forse la nuova Forza Italia passerà all’opposizione, non cambia l’atteggiamento di fondo. Il primo smarcamento è emerso in modo esplicito al momento in cui, alcune settimane fa, il presidente della Repubblica parlò di amnistia: argomento di spettanza della Cancellieri. Il secondo si registra in questi giorni. E benché il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, avverta che un governo, «qualunque governo non può essere strumentalmente sottoposto a scadenze settimanali», a Palazzo Chigi dovranno abituarsi. Per Renzi, quella guidata da Enrico Letta è una coalizione non solo eccezionale e anomala, ma da archiviare quanto prima. Ogni occasione per attaccarla va colta e utilizzata fino in fondo.
In questo senso, il Pd che ha in mente il sindaco mette nel conto scenari elettorali simmetrici a quelli degli oltranzisti berlusconiani e dei grillini. E più il governo delle «larghe intese» arranca e non decide, più si aprono spazi per chiederne il superamento. Un altro anno di maggioranza trasversale metterebbe a dura prova le ambizioni presidenziali di Renzi. E farebbe crescere la statura di Enrico Letta come candidato naturale alla premiership, in concorrenza con lui. L’attuale segretario, Guglielmo Epifani, l’ha già anticipato: una cosa è fare il capo del partito, altro correre per la guida del governo. Il problema è che cosa farà Berlusconi se il 27 novembre il senato sancirà la sua decadenza. Ma per Forza Italia e nuovo centrodestra di Angelino Alfano, l’incognita è anche il Pd del sindaco dopo il congresso di inizio dicembre.
«Sapete che io vado poco in vacanza. L’anno prossimo, poi», ha detto ieri maliziosamente Renzi, «ci sono le elezioni… Parlo delle amministrative, naturalmente». In realtà ci sono anche le europee. E qualcuno spera o teme il voto politico anticipato. Gli avversari interni di Renzi, come l’ex premier Massimo D’Alema, fanno notare che la scissione del Pdl e un Berlusconi con un piede fuori dal governo rafforzeranno la stabilità. E il viceministro dell’Economia, Piero Fassina, sottolinea che Renzi alle primarie non ha ottenuto neanche la maggioranza assoluta dei consensi. Ma questo fa capire che la sua elezione non calmerà le acque nel Pd. Al Quirinale e a Palazzo Chigi ne sono consapevoli. Gli scossoni «a scadenze settimanali» non finiranno, anzi: potrebbe diventare più frequenti.

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