Un errore punito con la ghigliottina

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E nel dirgli che, di ritorno dalla Cina, vuole incontrare Emilio Riva, Vendola confessa di essersi molto divertito a proposito di quel microfono che Archinà ha strappato di mano a un giornalista quando, alla fine di una conferenza stampa, il cronista chiedeva conto al padrone dell’Ilva dei morti avvelenati dai fumi dell’acciaieria. Una performance casomai odiosa, su cui effettivamente c’era poco da ridere.
Uno sbaglio è uno sbaglio. Tuttavia nulla di penalmente rilevante, eppure quel tono di complice ilarità è una mazzata che basta e avanza a incrinare quello che di più prezioso ha una persona come Vendola: la credibilità politica. E non importa se l’inchiesta dimostrerà, come il presidente di Sel assicura, che nel suo ruolo di governatore non solo ha condotto una battaglia durissima per tutelare l’occupazione e ridurre le mostruose percentuali di veleni dell’Ilva, ma che nessuna ombra o prova di corrutela può essergli addebitata a proposito dei rapporti con il vertice dell’azienda.
L’intercettazione, uscita solo oggi da carte giudiziarie del 2010, non è finita nel circuito mediatico perché contiene prove di malversazioni, ma perché vuol dimostrare che nessuno si salva, che i politici sono tutti uguali, e che, anzi, Vendola è peggio degli altri perché è un uomo di sinistra. Naturalmente il mare della Rete si gonfia di pietre scagliate contro il giuda, di commenti che lo accusano, persino, di ridere sui morti di tumore, come recita il titolo del sito Ilfattoquotidiano. Così il marchio d’infamia è perfetto.
Le intercettazioni sono uno strumento utile alla magistratura per combattere la criminalità comune e quella politica, come la loro diffusione va tutelata quando porta a conoscenza della pubblica opinione reati e corruttele di chi svolge funzioni di rilievo istituzionale. Ma non è il caso nostro. E chi sfrutta in questo modo le intercettazioni fa un cattivo uso della verità che, come suggeriva il poeta, raramente è pura e non è mai semplice.


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MA QUEI SOLDI SONO UNA DROGA

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  Personalmente credo che sarebbe una buona idea, per Pier Luigi Bersani, accettare di restituire quei 45 milioni di cosiddetti “rimborsi elettorali”. E un buon esercizio mentale, per tutti noi, provare a immaginare un drastico taglio dei “costi della politica”: non solo del finanziamento pubblico, ma in generale del flusso di denaro da cui i partiti politici sono diventati dipendenti, come un tossico dipende dalla propria droga.

Un diplomatico scalza Bertone

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