Tutti (nemici) sul carro di Matteo. La carica degli “anti-renziani devoti”

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Dice: tutti salgono sul carro di Renzi; e in apparenza è vero. Lui non li ha chiamati, anzi («sul carro non si sale, il carro si spinge»), è spettatore di questa comédie humaine. Nel miglior discorso della Leopolda Alessandro Baricco lo avvisò: «Matteo stia attento, sono tutti abbastanza renziani perché hanno capito che questo un po’ li terrà vivi, ma nella testa la distanza dal cambiamento è sempre quella. Le pile sono scariche».
Davanti allo scrittore torinese passeggiavano Dario Franceschini assediato (ancora?) dalle telecamere, si scorgeva l’antico teorico del proporzionale Stefano Passigli, il dalemiano Latorre dava suggerimenti in sala (curiosamente, s’era collocato davanti a una porta con su la scritta: «Apparati»). Il giorno prima avevano fatto capolino Piero Fassino e anche cosa mai vista alla Leopolda il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, che aveva voluto dare un cenno di ascolto. I fenomeni minori ma rivelatori sono tanti, da Milano, dove l’ex capo bersaniano del Pd milanese, Francesco Laforgia, si era presentato in prima fila a sentire Renzi a Sesto, al caso Bonaccini, ex bersaniano passato alla macchina del sindaco. Per citarne solo due.
ISi potrebbe insomma credere che Renzi, prima ancora dell’esito delle primarie, abbia già vinto culturalmente. La verità è che non è affatto così. Nella pancia, nel cuore, in tanta macchina del partito resta, se non l’alieno, un oggetto da guardare con estrema diffidenza. È come se lo stessero già lavorando ai fianchi in vari modi: mandandogli sul carro gente con la tecnica del cavallo di Troia, contaminandone la vittoria (se il congresso si offusca in storiacce di tessere, peggio per chi vincerà), preparandogli Letta come candidato-premier alternativo, oppure direttamente denigrandolo.
Mettete insieme i pezzi. Domenica, intervistato da Maria Latella, il segretario Epifani, che pure potrebbe imbracciare una linea di pura garanzia da traghettatore, dice invece: «Letta candidato premier anche lui? È una cosa che può essere. Vorrei che assumessimo questo come un percorso fisiologico». Pierluigi Bersani, così esposto appena nel recente passato, non si comporta come in Inghilterra farebbero un Kinnock o un Brown, non osserva da lontano: va dalla Annunziata e fa sapere «Renzi non mi ha ancora convinto, dà l’idea che il partito sia solo le salmerie del leader». E ieri D’Alema, mega-intervistato come ai bei tempi, risultava il più rivelatore di tutti: «Se Renzi dovesse diventare segretario si troverà a gestire un partito che in buona parte dovrà convincere. Non potrà pensare di impadronirsi di un partito che in una certa misura lo osteggia». «In certa misura», che eufemismo (D’Alema, commentando il voto di De Benedetti per Renzi, accenna anche «al potere economico» che starebbe col sindaco; salvo non aver detto nulla quando analogo endorsement arrivò a Bersani nel 2012).
Renzi li avvisa, «ride bene chi ride ultimo, anche nei congressi siamo avanti». Denuncia il rischio degli «accordicchi». Ma gli anti-renziani sono in attività elettrica. Come se non fosse successo nulla da febbraio. Stefano Di Traglia, ex portavoce di Bersani, questa battaglia la fa apertamente: «Renzi rischia di vincere le primarie ma non i congressi, e così sarà un’anatra zoppa. Doveva stracciare tutti con l’80%, ma al momento la notizia è che non ha la maggioranza nei congressi. Dunque, se vincerà, dovrà garantire legittimità, agibilità politica (usa proprio questa parola, nda) a tutti gli altri che sommati hanno più voti di lui».
E Letta? L’altra sera, proprio presentando il libro di Di Traglia-Geloni, il premier ha formulato una frase che ha fatto sobbalzare: cercare il M5S, come fece Bersani, servì oggettivamente (al di là delle volontà dell’interessato) a «far mandare giù» ai nostri elettori le larghe intese (Bersani «si immolò»). Di Traglia sa che le parole di Letta lasciano basiti; ma minimizza, «lui e Bersani hanno un ottimo rapporto, non si può pensare che ci fosse un disegno, semmai la conferma che il tentativo di Bersani con Grillo è stato onesto». Nell’ottica di questi antirenziani devoti, per la corsa a premier «c’è sempre il presidente del Consiglio, e proprio il regolamento del Pd dà ad altri dirigenti del partito la possibilità di concorrere alle primarie di coalizione per il futuro posto di candidato premier». Dicono: tutti sul carro di Renzi. Sì, per sfondarglielo.


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