Tehran, omicidio eccellente

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L’assassinio del viceministro dell’Industria, Safdar Rahmatabadi, riporta il terrore a Tehran. La vicenda racchiude ancora molti elementi di incertezza, sebbene le autorità iraniane si siano affrettate a negare la matrice politica e a sottolineare che, con grande probabilità, l’assassino conosceva la sua vittima. Il politico è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco mentre era al volante della sua Peugeot, in una piazza nell’est di Tehran. È stato ritrovato con un colpo alla testa e uno al petto, i finestrini dell’auto intatti e nessun segno di colluttazione. Per questo la polizia ha escluso la pista dell’attentato.
Tuttavia, il viceministro era impegnato, dal suo insediamento, in una diffusa lotta alla corruzione, che spesso coinvolgeva tutti i settori della scena politica iraniana e gli stessi tecnocrati (ora al governo con Rohani) a capo delle principali fondazioni del paese. Il tentativo di ripulire la diffusa corruzione era stato intrapreso con tanto vigore che alcuni parlamentari avevano chiesto il suo impeachment.
Rahmatabadi aveva anche la delega ai rapporti con il parlamento. Questo ne faceva una figura rilevante del governo, voluto da Rohani nell’agosto scorso. Come si evince dai colloqui di Ginevra, l’esecutivo è impegnato principalmente nella chiusura del contenzioso nucleare per contenere le gravi ripercussioni sull’economia iraniana delle sanzioni internazionali. Non solo, proprio per il miscuglio tra potere politico, fondazioni, collette raccolte dalla preghiera del venerdì e settori dei mercanti dei bazar, l’Iran è stato definito paese ad «alto rischio» da Transparency International. Il think tank ha in particolare stigmatizzato la diffusa corruzione nell’ambito del ministero della Difesa. Rahmatabadi, che pure per anni era stato vicino ai tecnici che hanno sostenuto il governo Ahmadinejad, potrebbe essere stato oggetto proprio di una vendetta degli ultraconservatori per i suoi tentativi di riportare trasparenza.
La tempistica con cui si è svolto l’agguato fa temere anche per un possibile avvertimento lanciato al presidente Hassan Rohani, ora impegnato nel ricostruire il ruolo iraniano all’estero dopo anni di isolamento. Non solo, il ministero del Petrolio in Iran sta discutendo l’approvazione della riforma del quadro normativo che regola i contratti petroliferi con le società straniere, aumentando i vantaggi per queste ultime. Tehran punta a cancellare i vecchi contratti di tipo «buy-back», che non permettono alle società estere di possedere quote di capitale nei progetti petroliferi nella Repubblica islamica, sostituendoli con nuovi accordi basati sulla formula «win-win», ovvero vantaggiosi sia per il governo sia per le compagnie petrolifere, che avrebbero maggiori margini di guadagno.
Ma nel paese continua il dibattito sui colloqui di Ginevra che sebbene si siano conclusi con un nulla di fatto, hanno finalmente messo a confronto diretto le posizioni di Stati uniti e Iran sul programma nucleare. Un primo passo avanti è stato compiuto. L’Iran e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) hanno siglato un accordo su una «roadmap» per la cooperazione in ambito nucleare. E così gli ispettori dell’Aiea possono visitare l’impianto ad acqua pesante di Arak e anche la miniera di Golchin a Bandar Abbas. Il direttore generale dell’Aiea, Yukiya Amano, di nuovo a Tehran per la prima volta dallo scorso maggio, ha precisato che «entro tre mesi» predisporrà un rapporto sulle ispezioni.
Dal canto suo, il segretario di Stato John Kerry ha sottolineato a sorpresa ieri come sia stato l’Iran a fare un passo indietro, sabato scorso, a Ginevra nei colloqui sulla questione nucleare. In realtà l’intransigenza francese, e indirettamente israeliana, ha bloccato all’ultimo momento la bozza russa, accettata ampiamente dai negoziatori iraniani.Tuttavia, in vista della ripresa dei colloqui il prossimo 20 novembre, per ridimensionare la portata del dissenso, il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha detto che le grandi potenze non sono «lontane da un accordo» con Tehran. La Guida suprema, Ali Khamenei, ha definito «imprudente e inetta» la posizione francese, «apertamente ostile all’Irannegli ultimi anni». Dopo il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, a spingere per l’intesa è arrivato inaspettatamente l’omologo britannico William Hague che ha assicurato che se verrà raggiunto un accordo preliminare con l’Iran, riguardante il suo programma nucleare, sarà possibile ridurre le sanzioni, in maniera «limitata e proporzionata». Non solo, dopo due anni di gelo nelle relazioni, Iran e Gran Bretagna hanno ripreso i rapporti diplomatici con la nomina ufficiale dei nuovi incaricati d’affari.


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