by Sergio Segio | 14 Novembre 2013 10:22
La ricerca presentata a Varsavia durante la conferenza internazionale sul clima indica proprio l’arcipelago, assieme ad Haiti e al Pakistan, tra i paesi che hanno subito i maggiori danni. I dati si riferiscono al 2012, quando i tre paesi furono travolti rispettivamente dal tifone Bopha, dall’uragano Sandy e da alluvioni monsoniche. Negli ultimi vent’anni, ricorda il centro studi, finanziato in parte dal governo tedesco, i dieci stati più colpiti sono stati, «senza eccezione», nazioni in via di sviluppo. Dai temi della conferenza è stato difficile allontanare la catastrofe filippina, che se l’anno scorso era chiamata Bopha, quest’anno è Haiyan, o Yolanda per usare il nome con cui il supertifone è conosciuto a Manila.
La ricerca «racconta la storia di un paese costantemente prono alle catastrofi legate al clima» spiega Sönke Kreft, responsabile clima del think tank e co-autore del Climate Risk Index 2014, l’indice che classifica i paesi in base al numero delle vittime (l’anno scorso i morti furono 1.408) e all’ammontare dei danni economici in termini assoluti e relativi.
Secondo i dati ufficiali del National Disaster Risk Reduction and Management Council (ndrrmc.gov.ph), l’agenzia filippina per la riduzione del rischio, i morti hanno già superato i 2.200, con oltre 3.400 feriti e 79 dispersi. Le stime delle Nazioni Unite parlano di almeno 670mila sfollati, pari a circa il 12 per cento dell’intera popolazione.
Lunedì il presidente Benigno Aquino, che alle notizie sul rischio che si possano superare i 10mila morti aveva esortato tutti ad attenersi ai bollettini ufficiali, ha azzardato un bilancio attorno ai 2.500. Ieri l’Associated Press, riferiva di otto persone uccise nella calca in un magazzino di riso preso d’assalto in cerca di cibo vicino Tocloban, città costiera di 220mila abitanti, tra le più colpite dal tifone, nella quale appena il 20 per cento della popolazione sta ricevendo aiuti e dove è in vigore il coprifuoco.
«Il saccheggio non è criminalità, ma una forma di sopravvivenza”, ha spiegato Tecson John Lim, amministratore locale, citato dalla Reuters. Sul sito Onu Reliefweb, che funge da aggregatore per informazioni sulle emergenze, si legge di «inferno della logistica» per chi vuole prestare aiuto. Lo stesso governo di Manila è sembrato impreparato alla portata dell’impatto di Haiyan.
«Non c’è mai stato niente della portata di quanto siamo cercando di fare ora», ha spiegato il segretario di Gabinetto Rene Almendras, che parla della più grande operazione di logistica nella storia delle Filippine. «La tempra dei filippini sarà messa alla prova da questa crisi. Forse qualcuno la fuori non capisce la natura di questo paese e le realtà che può trovare sul terreno», ha detto alla Bbc mentre non mancano le polemiche sui ritardi e l’inadeguatezza negli aiuti.
Intanto, mentre l’appello dell’Ocha per raccogliere almeno 301 milioni di dollari, ha intensificato le risposte internazionali al disastro, si aprono due fronti polemici che toccano la Cina. Il primo è di entità finanziaria. Pechino stanzierà 100mila dollari per gli aiuti, una cifra bassa se comparata ai 10 milioni messi da Tokyo e ai 20 degli Stati Uniti, che hanno affidato le operazioni ai militari. Ma il paragone è anche con il milione di dollari stanziati per le Filippine nel 2011, per una tempesta ben più lieve, e con i 1,5 milioni offerti per il terremoto in Pakistan dello scorso settembre. Sulla sfondo ci sono le tensioni e le dispute territoriali nel mar cinese meridionale che oppongono Pechino a Manila, con quest’ultima intenzionata a ricorrere all’arbitrato Onu. E poi ci sono le parole del Chief Secretary di Hong Kong, Carrie Lam ChegnYuet-ngor, secondo cui il governo dell’ex colonia britannica non ha intenzione di rinviare l’ultimatum scaduto il quale scatteranno sanzioni se Manila non si scuserà e concederà risarcimenti per il sequestro e l’uccisione di nove turisti honkoghesi su un bus nella capitale filippina nel 2010.
*Lettera 22
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