Sud pattumiera del nord

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NAPOLI. Provate a contare fino a 410 mila e poi fatevi un’idea di quanti sono stati i camion che hanno viaggiato da Nord a Sud per arrivare a sversare, in 22 anni, 10 milioni di tonnellate di veleni nelle province di Napoli e Caserta. Sono questi i dati raccapriccianti che ieri Legambiente ha riproposto nel suo dossier sulla Terra dei Fuochi. Un moloch di materiali tossici che continua a disperdersi nell’ambiente contaminando terreni, animali e ammazzando donne, uomini e purtroppo anche tanti bambini.
Alla vigilia di quella che sarà, secondo i pronostici, la manifestazione più imponente di queste popolazioni i numeri non rassicurano, anzi spronano a scendere in piazza ancora di più e più uniti, nel corteo che partirà da piazza Mancini alle 14.30.
Secondo i dati dell’associazione ambientalista infatti dal 1991 al 2013 ci sono state addirittura 82 inchieste che hanno colpito le ecomafie, 915 ordinanze di custodia cautelare per i trafficanti, 1.806 denunce, e sono state passate al setaccio 443 aziende che hanno sede sociale al centro o nel settentrione. Eppure ancora non basta. Non solo perché i viaggi dell’ecocidio continuano, ma perché senza una bonifica che ripulisca capillarmente queste terre, gli abitanti continueranno a contrarre tumori e a morire.
Legambiente snocciola anche i tipi di materiali sepolti nelle campagne partenopee e casertane: «Scorie derivanti dalla metallurgia termica dell’alluminio, polveri di abbattimento fumi, morchia di verniciatura, reflui liquidi contaminati da metalli pesanti, amianto, terre inquinate provenienti da attività di bonifica». Tutti rifiuti speciali che avrebbero necessitato di uno smaltimento speciale e quindi costoso. Invece le imprese del Nord hanno preferito affidarsi a pratiche illecite. A volte consapevolmente, altre invece appaltando il lavoro a piccole ditte che gli garantivano un lavoro pulito, ma senza certificazione e a prezzi stracciati. In Campania, come ormai è tristemente noto, sono finiti gli scarti dell’Acna di Cengio, i residui dell’ex Enichem di Priolo, i fanghi conciari della zona di Santa Croce.
«Si è trattato di un sistema ecomafioso, che ha fagocitato ogni cosa e creato le premesse per l’accumulazione di un potere economico che ha inquinato ogni aspetto del vivere civile di quei territori – ha spiegato Rossella Muroni direttore generale di Legambiente – Le responsabilità, che vengono da un passato trentennale, sono enormi». L’associazione denuncia, infatti, le inefficienze delle istituzioni che nonostante imponenti inchieste non sono intervenute tempestivamente. E per dare un’idea anche dell’enorme mole di lavoro degli inquirenti nel dossier è stato coniato un dizionario dell’ecocidio. Ad ogni lettera di quest’alfabeto corrisponde un’inchiesta, molte hanno già riempito pagine di giornali. Come “Cassiopea” condotta dal pm Donato Ceglie, che nel 2003 svelò quello che è considerato il più grosso flusso di rifiuti Nord-Sud. Oppure “Chernobyl”, che dovrebbe riprendere il prossimo 5 dicembre, vede imputate 38 persone per indagini partite nel 2006 e 2007 e che riguardano anche le province di Salerno, Benevento e Avellino. E ancora “Re Mida”, dal soprannome di Luigi Cardiello, così chiamato perché in grado di trasformare la munnezza in oro. Tutti tasselli di contrasto a questo fenomeno devastante. Un sistema criminale mafioso-imprenditoriale che, come sottolinea Legambiente, «s’è potuto muovere agevolmente grazie alla protezione e complicità di una rete di colletti bianchi, uomini politici, funzionari pubblici, massoni e faccendieri di ogni risma».
A questa bomba ecologica bisogna poi aggiungere i roghi, 6mila da gennaio 2012 ad agosto 2013, che hanno ribattezzato alcune aree con il nome di Terra dei Fuochi. Incendi appiccati per nascondere gli scarichi illeciti e che appestano l’aria oltre che i suoli. E se ora le aziende settentrionali si smarcano e promuovono campagne, come quella della Pomì, contro i prodotti agricoli campani, le responsabilità delle società del Nord sono palesi.
Così oggi si sceglie in piazza con le idee ben chiare e diverse proposte stilate da Legambiente insieme a Libera e alla Fiom, ma anche ai comitati delle cittadine colpite. Punti programmatici come la richiesta di mappatura delle aree no food con un’attività di analisi e campionamento dei prodotti, la bonifica conseguente a un piano sanitario specifico e la dichiarazione delle zone ad alto rischio di insorgenza delle neoplasie. Quindi la costituzione di un Osservatorio tecnico scientifico per le bonifiche, la riconversione e il risanamento. La strada è tutta in salita.


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