by Sergio Segio | 21 Novembre 2013 10:44
Fare il lavoro sporco in mare, ma presto e bene. Dopo il “no” dell’Albania, che ha respinto il piano americano di distruggere sul suo territorio l’arsenale chimico siriano, il piano B degli Usa è un colpo di scena: eliminare ogni traccia del Sarin e dei suoi precursori incenerendoli o rendendoli inerti chimicamente a bordo di piattaforme o navi ancorate in mezzo al mare, in acque internazionali e dunque al riparo da proteste e polemiche. Ma c’è un “ma”: l’uovo di Colombo è indigesto, per gli ambientalisti.
Le reazioni sono caute. Greenpeace, cui abbiamo chiesto un parere, replica con il silenzio. Si sa ancora troppo poco delle tecnologie che verrebbero usate per distruggere i “precursori”, gli elementi chimici all’ultimo stadio di elaborazione pronti per essere amalgamati formando il Sarin, il terribile gas nervino usato nella strage dei bambini di Damasco. Il piano americano, anticipato ieri dal New York Times in modo abbastanza dettagliato e attribuito a fonti governative, è stato di fatto confermato come «fattibile» dall’Opac, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche che sovrintende e controlla tutte le operazioni di smaltimento.
Secondo il Nyt, «i due piani alternativi» annunciati dal Segretario di Stato Usa, John Kerry, sono variazioni sul tema della distruzione in mare aperto. Il primo è l’incenerimento in forni a 1.500°, cioè «il sistema di elezione per la distruzione del Sarin e dei suoi componenti anche in terraferma», spiega l’ingegner Silvestro Mortillaro, l’unico ispettore italiano dell’Opcv. Sempre secondo una «fonte ufficiale» citata dal Nyt, l’altro piano invece prevede «un sistema mobile molto sofisticato sviluppato dal Pentagono, conosciuto come
Field deployable hydrolysis system, che consiste nel convertire gli agenti chimici in sostanze inutilizzabili a scopi militari mischiandole con acqua e altri elementi chimici, e poi riscaldandole ». «Tecnologia molto recente, evidentemente — alza il sopracciglio l’ispettore italiano — io non la conosco».
Sia l’Opac che gli americani precisano che le soluzioni in mare sono due possibilità, ma non le sole. La soluzione ideale resta convincere qualche Stato ad accogliere il processo di distruzione in terraferma, una via più semplice ma intricata politicamente. Nel frattempo, l’Opac sta formando le forze lealiste siriane che dovranno trasportare, sotto il loro controllo, dai siti di stoccaggio a un porto i precursori chimici imballati nei container. E a quel punto? «La distruzione i mare per incenerimento — spiega Mortillaro — è una tecnologia impegnativa, ma permetterebbe di aggirare le proteste ed è un grosso vantaggio, se si ha fretta ». Resta però il timore «che i residui del processo di distruzione delle armi chimiche, come la diossina, possano finire in mare e nella catena alimentare degli oceani», dice Jean-Pascal Zanders, esperto dell’Euiss, l’Agenzia per la sicurezza europea. «La diossina non sarebbe un problema — replica Mortillaro — perché a quelle temperature l’emissione sarebbe trascurabile. I reflui gassosi vanno in atmosfera purificati, mentre quelli liquidi possono essere smaltiti in modo adeguato a terra.».
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