Separati ma alleati E premiati dalla legge
Da buon stratega il Cavaliere deve aver compreso quel che gli avversari non riescono neppure a immaginare. Alle prossime elezioni nessun partito può aspirare a vincere da solo, si tratta allora di precostituire le condizioni affinché sia la coalizione a prevalere. Non solo.
Puntare sulla coalizione e non unicamente sul proprio partito appare una strategia vincente quale che sia la sorte della legge elettorale. È questa una prospettiva certamente assai utile se dovesse rimanere l’attuale sistema, ma che si dovrebbe perseguire anche nel caso in cui la prossima decisione della Corte costituzionale dovesse dichiarare – finalmente – l’incostituzionalità di alcune sue parti. Non è stato, infatti, notato che le questioni di legittimità costituzionale sottoposte al vaglio del giudice costituzionale riguardano solo tre profili tra i tanti controversi della legge elettorale attualmente vigente (premio di maggioranza, distribuzione dei seggi al senato, composizione delle liste bloccate). Il giudizio della Consulta non coinvolge, invece, un altro aspetto altrettanto importante: quello delle soglie di accesso. Un sistema contorto e irragionevole, che avrebbe meritato un sindacato di costituzionalità, ma che nessuno ha voluto (o potuto) sollevare. Pertanto, secondo quanto è stabilito dalla vigente legge – e non è stato contestato – per ottenere seggi è necessario superare una percentuale variabile: assai alta per le forze politiche non coalizzate, estremamente ridotta per chi invece si presenta in uno dei raggruppamenti maggiori.
Ciò spiega perché assistiamo, per la prima volta nella storia, ad una scissione soft. Con l’invito del sanguigno Berlusconi a non attaccare più di tanto la nuova formazione politica nata in apparente contrasto con i suoi propositi; con le reiterate espressioni di solidarietà e rispetto del capo appena abbandonato da parte del sempre mansueto Alfano.
Ma ciò spiega anche la riorganizzazione della galassia di centro destra. Anche forze in sé apparentemente insignificanti sono coccolate dal Capo. Fratelli d’Italia è in libera uscita, ma considerati pur sempre «fratelli», buoni per le prossime elezioni all’interno di una comune prospettiva di governo futuro. E poi la riorganizzazione della Destra. In questo caso se si riesce a contrastare un poco (ma neppure troppo) la fibrillazione tra le mille sigle nostalgiche, anch’esse possono essere utili per raggiungere il comune traguardo di una vittoria alle prossime elezioni. La Lega è lo storico alleato che ci si guarda bene dal delegittimare, ed anzi si corteggia, nella convinzione che ci si possa sostenere a vicenda.
Non è una strategia sbagliata neppure dal punto di vista del consenso. È infatti ormai evidente che la forza attrattiva di Silvio Berlusconi stia subendo una flessione. Le sue vicende processuali, l’interdizione, la decadenza, l’età, il logoramento progressivo avranno un peso, sicchè Forza Italia sconterà una riduzione di voti rispetto al Popolo delle Libertà. Ed è proprio in una situazione del genere che è necessario ampliare l’offerta politica della coalizione. Il Nuovo Centro Destra sarà assai utile per conservare il consenso degli elettori che non hanno più interesse a votare il partito di Berlusconi, ma che vogliono rimanere entro il proprio sistema di valori. Angelino Alfano, in fondo, rimane un «buon» surrogato del Cavaliere. Non siamo al dividi e impera, bensì al dividi e moltiplica il consenso.
E il centrosinistra? Disdegna ogni politica delle alleanze. Si divide senza separarsi. Si crogiola da mesi su chi debba essere il segretario di un partito sempre meno unito, rimuovendo la questione della coalizione che dovrebbe seguire alle larghe intese. Sembra anzi quest’ultimo l’unico orizzonte entro cui si sviluppa la dialettica e la polemica politica, tutta incentrata sul governo attuale e le sue prospettive di piccolo cabotaggio. Non ci si preoccupa degli altri soggetti politici che dovrebbero andare a comporre un’ipotetica nuova coalizione. Nessuno pensa a costruire una prospettiva programmatica di alleanze tra soggetti diversi: né il Pd né alla sua sinistra. Si pensa si possa vincere da soli, si blatera di vocazioni maggioritarie. Ognuno appare geloso delle proprie microidentità ed è attento a collocarsi entro la propria parte politica lacerata dal correntismo e dal localismo più esasperato. Ma non si vince mettendo in campo un sistema di caciccato locale e nazionale. Si vince in base ad un programma politico che sia in grado di coalizzare il più ampio spettro di forze e soggetti. In questa situazione la sinistra rischia ancora una volta di perdersi.
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