by Sergio Segio | 18 Novembre 2013 6:32
Quante tasse sul risparmio pagheremo nel 2014? La legge di stabilità in discussione alle Camere contiene la proposta di un aumento allo 0,2% (nel 2013 ammonta allo 0,15%) per la mini-patrimoniale applicata a tutti gli investimenti, compresi i conti di deposito. Ma nella giostra delle diverse migliaia di emendamenti scritti dalle varie forze politiche rispunta anche il progetto, finora accantonato, di alzare oltre il 20% l’aliquota per tassare le rendite finanziarie. Nulla è deciso e solo la versione finale del provvedimento dirà l’ultima parola. Se, però, alla fine, una maggior tassazione su azioni, bond societari & c. diventerà legge, negli ultimi due anni per gli investitori italiani il peso del Fisco sarà aumentato di molto.
Le ipotesi
Si può dire infatti che calcolando tutto, anche gli effetti della mini patrimoniale e della tassazione sulle transazioni finanziarie, si è arrivati quasi ad un raddoppio di quel 12,5% che tra il 1998 e il 2012 ha rappresentato il parametro delle tasse per chi investiva senza distinzione in Bot o in Piazza Affari. Unica magra consolazione: il 22% che di nuovo fa capolino dalle proposte per modificare la legge di stabilità come percentuale da versare al Fisco in caso di guadagni realizzati con strumenti finanziari ci lascerebbe comunque nella parte bassa della classifica europea, visto che in Francia e in Germania il peso effettivo delle tasse sulle rendite finanziarie ammonta rispettivamente al 26,3% per i tedeschi e a più del 39% per i francesi. Non è un mistero, però che se si considera la pressione fiscale nel suo complesso, l’Italia schizza (purtroppo) in cima a tutte le classifiche.
I titoli di Stato e gli altri asset
Ma che cosa è successo da noi? Negli ultimi due anni i destini dei titoli di Stato e degli altri asset si sono separati: dal primo gennaio 2012 il 12,5% vale solo per i Btp e per gli altri titoli di Stato, mentre per azioni, fondi, bond societari e così via l’aliquota è salita al 20%. E al 20% sono invece scesi dal precedente 27% i prelievi sugli interessi maturati dai conti correnti. Un investimento in azioni da 50.000 euro con un rendimento complessivo ipotetico del 3% annuo (quindi 1.500 euro) prima del 2012 pagava il 12,5% pari a 187,5 euro. Nel 2013, con l’aliquota al 20%, lo stesso rendimento sopporta una tassa di 300 euro a cui si è aggiunta la mini patrimoniale dello 0,15 per cento che vale altri 75 euro. Totale: 375 euro. L’anno prossimo ipotizzando che vada in porto solo l’aumento della mini patrimoniale l’esborso salirebbe a 400 euro (altri 25 euro), mentre se alla fine si decidesse di portare l’aliquota generale al 22% per lo stesso investimento e lo stesso rendimento, al Fisco si lascerebbero 430 euro, quasi un terzo dei 1.500 euro che rappresentano il guadagno del risparmiatore. E questo conto non considera i possibili effetti della tassa sulle transazioni finanziarie entrata in vigore a marzo.
In Europa
L’aumento delle tasse sulle rendite da capitale e sugli interessi è un trend che si vede anche in altri paesi Europei. In Francia, spiega Giuseppe Corasaniti, professore associato di diritto tributario nell’Università di Brescia, «l’aliquota base è al 24% a cui si aggiunge il contributo sociale del 15,5%: il peso effettivo sopportato dai risparmiatori è quindi oggi superiore al 39%». E anche la Germania, dove la crisi morde meno, chiede ai suoi cittadini un 26,3% in cui è ancora compresa — spiega Corasaniti — l’imposta di solidarietà introdotta per sostenere gli oneri della riunificazione tra Est e Ovest. In Italia, conclude il professore, si aggiunge un disordine normativo. Siamo gli unici in Europa ad avere un trattamento agevolato sui titoli di Stato. E in altri Paesi, a cominciare dalla Germania, la compensazione tra redditi di capitale e redditi diversi (guadagni e perdite) è ammessa a determinate condizioni, mentre da noi è possibile solo all’interno dei fondi comuni di investimento mobiliare e delle gestioni patrimoniali.
Senza piani di risparmio
Nel cassetto delle possibilità non realizzate sono rimasti infine i piani di risparmio, di cui si era arrivati a parlare nelle deleghe fiscali del governo qualche anno fa, prima dell’aggravarsi della crisi. I piani, come accade in Francia e in Inghilterra, consentirebbero ai privati e alle famiglie, di pagare un’aliquota fiscale molto agevolata su una certa quantità di denaro, purché risulti investita a medio-lungo termine (cinque, dieci anni). Un’alternativa molto meno vincolante dei fondi pensione, gli strumenti più convenienti dal punto di vista tributario che però, in linea di massima, bloccano i risparmi per tutta la vita lavorativa.
Giuditta Marvelli
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