Risate con il portavoce dell’Ilva Un caso la telefonata di Vendola

by Sergio Segio | 16 Novembre 2013 7:48

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ROMA — Come una sorta di fatale contrappasso, proprio nel giorno in cui il leader di Sel, Nichi Vendola, parlava ieri di «assoluta inopportunità» delle telefonate di Annamaria Cancellieri con la famiglia Ligresti e aggiungeva che il ministro della Giustizia «avrebbe fatto bene a dimettersi», il Movimento 5 Stelle, il Pdl e i Verdi hanno chiesto le sue dimissioni da governatore della Puglia per un’altra telefonata, del luglio 2010, intercettata tra lui e Girolamo Archinà, l’allora responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva di Taranto, oggi agli arresti domiciliari. «Vendola è un servo di Riva», ha tuonato da Potenza Beppe Grillo.
La telefonata è stata resa nota dal sito del Fatto Quotidiano e subito un diluvio di commenti ha inondato la Rete e travolto Vendola («Le tue risate mi ricordano altre amare risate, quelle degli sciacalli del terremoto dell’Abruzzo…», ha scritto sul web una cittadina indignata). Nella telefonata, in effetti, che dura circa 4 minuti, Vendola da Roma parla con Archinà e all’inizio ride di gusto: «Complimenti — esordisce — ho visto una scena fantastica, uno splendido scatto felino, io e il mio capo di gabinetto siamo stati a ridere per un quarto d’ora». Il riferimento è a un filmato dell’anno prima, novembre 2009, in cui si vede Archinà che strappa il microfono a Luigi Abbate, un giornalista di una tv privata pugliese, Blustar, mentre tenta di intervistare il patron dell’Ilva, Emilio Riva, incalzandolo sui morti di tumore e le altre gravi malattie dovute al disastro ambientale di Taranto. In quel luglio 2010 l’Ilva vive giorni difficili, l’inchiesta della Procura di Taranto è già partita, in città è altissimo l’allarme per l’inquinamento da benzo(a)pirene e i giornali scrivono di mamme che proibiscono ai bambini perfino di andare a giocare a pallone nei parchi.
Vendola, che ha deciso di querelare il Fatto , però non ci sta: «Penso che un’intercettazione decontestualizzata sia solo un tentativo di fare il processo nelle piazze e di avere una facile condanna». Il governatore della Puglia, lo ricordiamo, è indagato per concorso in concussione (con i vertici dell’Ilva) per presunte pressioni che avrebbe esercitato sul dirigente dell’Arpa, Giorgio Assennato, al fine di indurlo ad ammorbidire la posizione dell’Agenzia regionale per l’ambiente sulle emissioni nocive prodotte dallo stabilimento siderurgico («Dica a Riva che il presidente non si è defilato», annuncia poi Vendola ad Archinà, facendosi serio).
«Ma questo è solo un tentativo di linciaggio, di sciacallaggio — replica stizzito il leader di Sel —. Il cancro ha abitato la mia vita e la mia casa e credo che l’idea di darmi un colpo cercando di delegittimarmi sul terreno della sensibilità umana sia operazione lurida, vigliacca e volgare. La confidenza con Archinà, quel giorno, deriva dal fatto che noi stiamo cercando di convincere l’Ilva a mettere le centraline per il monitoraggio diagnostico. E mentre faccio questo, cerco anche di difendere alcune centinaia di lavoratori a rischio di licenziamento. Io in quella telefonata non rido per i tumori, rido solo per il guizzo felino di Archinà. Non volevo affatto avallare un atto di censura, ridevo per quella figura buffa da servitore zelante che faceva Archinà nei confronti del suo padrone. Al giornalista Luigi Abbate invierò oggi stesso una lettera di scuse».
Fabrizio Caccia

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