Rientro dei capitali senza carcere, il 12% al Fisco
Un modello da compilare: così comincia il procedimento di regolarizzazione volontaria per chi ha fondi all’estero non dichiarati al Fisco. L’Agenzia delle Entrate ci sta lavorando, insieme alla circolare esplicativa di un’altra circolare, quella del 31 luglio (entrata in vigore in agosto) che ha riformato le norme sul monitoraggio fiscale e ha ridotto le sanzioni a carico di chi ha conti all’estero non dichiarati. Il Fisco è diventato più buono? No, la riforma nasce per evitare una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea nei confronti dell’Italia, che rischiava l’accusa di avere sanzioni eccessive in materia di beni all’estero non dichiarati. Su questo tema è entrato in campo anche il governo, che sta lavorando a un emendamento alla legge di Stabilità per recepire le norme sul rientro dei capitali dall’estero, ispirate alle proposte avanzate dal gruppo di lavoro coordinato dal procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco.
La tempistica
La circolare sarà molto probabilmente pronta a dicembre, mentre il modello di richiesta della regolarizzazione, su cui l’Agenzia è già al lavoro, non vedrà la luce finché il quadro normativo non sarà definito nella legge di Stabilità. La proposta sul tavolo («proposta Greco») prevede una «finestra» permanente attraverso la quale far rientrare in Italia i capitali esteri non dichiarati, pagando le tasse dovute, ma con meno sanzioni, perdendo l’anonimato garantito dai precedenti scudi fiscali, ma con la garanzia di non avere conseguenze penali. Quest’ultima parte, cioè la depenalizzazione, è la grande novità e l’aspetto determinante, sostengono molti esperti, perché la mossa del rientro dei capitali possa ottenere qualche risultato, considerato che ormai in Svizzera nel giro di due anni il segreto bancario è destinato a scomparire e che si stima che nei conti elvetici siano depositati tra 120 a 180 miliardi di euro provenienti dall’Italia. Una parte di quei fondi potrebbe riprendere la via di casa.
L’autodenuncia
Il modulo di richiesta di ammissione alla procedura di regolarizzazione volontaria prevista dalla circolare 25/E consentirà al richiedente di denunciare conti o attività di reddito all’estero non dichiarati. La scheda da compilare dovrebbe prevedere alcune voci: richiesta della tipologia (conto corrente, immobili, oro ecc.); Stato di detenzione (Svizzera, Bermuda ecc.), valore patrimoniale delle attività estere diviso per tipologia a partire dal 2003 (le sanzioni possono essere erogate dal 2003 in poi); apporti eventuali che hanno incrementato le attività estere negli anni (gli apporti, se non si dà prova contraria si presumono reddito, quindi tassato dall’Irpef fino al 43%). È probabile che al contribuente sia chiesto di dichiarare di essere a conoscenza delle conseguenze penali e questo perché l’Agenzia delle Entrate farà controlli a campione.
Vantaggi e sanzioni
Qual è il vantaggio della regolarizzazione volontaria, cioè del voluntary disclosure dei capitali nascosti all’estero? Prima della riforma l’omessa indicazione delle disponibilità estere era punita dal 10 al 50% e con la confisca di un ammontare corrispondente agli importi non dichiarati. Ora con la riforma di agosto è stata abolita la confisca e le sanzioni sono ridotte al 3-15% per le attività detenute in Stati white list (quei Paesi convenzionati che consentono scambi di informazioni) e al 6-30% per quelle detenute in Stati black list (quei Paesi con una fiscalità privilegiata). Inoltre il nuovo regime avrebbe effetto retroattivo perché più favorevole rispetto al precedente. Sia chiaro, sarà intero il pagamento delle imposte omesse maggiorate degli interessi, la riduzione riguarda solo le sanzioni applicabili: in caso di autodenuncia l’Agenzia delle Entrate — sembra l’orientamento — applicherà le sanzioni minime che saranno riducibili automaticamente a un terzo, cifra che potrà essere ancora tagliata del 50%.
I costi
Quanto costerà il voluntary disclosure ? Dipenderà dal singolo caso e dai redditi ottenuti nei vari anni. C’è chi ipotizza in caso di una situazione con rendimento standard e senza bonifici in entrata (gli apporti) che il costo complessivo per tutti gli anni non prescritti potrebbe aggirarsi intorno al 12% del patrimonio (tra il 10 e il 15%). Questa formula, combinata alla depenalizzazione, potrebbe essere la via d’uscita per l’Agenzia delle Entrate per riportare in Italia capitali che nel giro di due anni andranno alla ricerca di una nuova destinazione, perché le banche svizzere imporranno l’aut aut: l’autodenuncia o la chiusura del conto. A Singapore è già accaduto la scorsa estate e molti capitali hanno preferito prendere il largo.
Francesca Basso
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UOMINI E NO
Non è un problema tecnico. Non c’era bisogno di particolari competenze ingegneristiche o finanziarie per capire, fin dal 21 aprile di due anni fa, quando al Lingotto fu presentato in pompa magna, che il piano «Fabbrica Italia» stava sulle nuvole. Anche un bambino si sarebbe reso conto che quella produzione da aumentare dalle 650.000 auto del 2009 al milione e 400mila del 2014, quel milione di veicoli destinati all’esportazione di cui «300.000 per gli Stati Uniti» (sic!), quel raddoppio o poco meno delle unità commerciali leggere (dalle 150 alle 250mila) in meno di quattro anni, erano numeri sparati a caso. Così come quei 20 miliardi di euro d’investimenti in Italia (i due terzi dell’intero volume mondiale del Gruppo Fiat!), senza uno straccio d’indicazione sulla loro provenienza, senza un piano finanziario serio e trasparente, erano un gigantesco buio gettato sul tavolo verde.
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