Riduzione del danno, verso l’Europa

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Eppure, e nonostante, «in direzione ostinata e contraria»… la rdd si fa, in Italia, e con cocciuta capacità non solo di tenuta ma anche di innovazione.

E’ questo soprattutto che si è potuto vedere a Napoli, nella due giorni dell’8 e 9 novembre promossa da Itardd, Rete italiana di Riduzione del Danno: nata dal basso nel 2011, fortemente voluta da operatori, professionali e pari, e consumatori attivisti: circa 150, ad oggi, e 33 associazioni, ma il trend delle adesioni è in costante crescita. L’appuntamento annuale è stato dedicato al ruolo dei consumatori e degli operatori pari nella strategia e negli interventi di rdd. Il titolo (Un certain regard… Consumatori e approccio di riduzione del danno) ha voluto rilanciare una caratteristica fondante ma troppo spesso dimenticata della stessa rdd: il suo essere basata certo su un buon sistema di servizi e su politiche adeguate, ma principalmente l’avere radici e prospettiva nelle competenze, conoscenze e soprattutto pratiche di autoregolazione dei consumatori stessi, e operare nella direzione di legittimarle e sostenerle.

L’abc, questo, della rdd, fin dagli anni ’80, finito però in un nuovo analfabetismo, sopraffatto da un approccio medico dominante, da una inerzia metodologica, da politiche ideologiche e frenanti. La rete ha voluto invece ricordare come rdd sia appunto uno sguardo diverso sui consumi e i consumatori, che da devianti-vittime-malati diventano soggetti capaci di apprendimenti, cambiamenti e governo dei propri stili di consumo, qualora i contesti attorno a loro non solo – come dovrebbero – facilitino queste pratiche autoregolative ma in prima battuta almeno non le ostacolino.
A Napoli è stato evidente come per ogni diverso stile di consumo, contesto di uso, generazione di consumatori questa autoregolazione sia possibile e sia possibile facilitarla: consolidate esperienze di drop in e unità di strada che attivano competenze dei loro utenti, gruppi auto organizzati di giovani consumatori attivisti che promuovono tra i loro pari un “uso sicuro” e sicuri contesti d’uso; sperimentazioni come il test delle sostanze provenienti dal mercato nero per informare correttamente su cosa si stia davvero usando o la costituzione, sull’onda spagnola, dei cannabis social club per auto-coltivare e sfuggire alle mafie. E via elencando: una realtà vivace e in movimento che, finalmente, ci ha avvicinati a quell’Europa da cui i governi degli ultimi anni ci hanno allontanato. Tanto che Itardd è stata accreditata come realtà di riferimento italiano per la rete europea di rdd, Eurohrn.

Con gli europei presenti al seminario, e con il rappresentante di Inpud, la rete mondiale dei consumatori di droghe, si è parlato lo stesso linguaggio e le pratiche italiane di rdd si sono riconosciute dentro una cultura e un movimento davvero europei. Nonostante i governi, i dipartimenti, la politica. All’orizzonte, ora, non pochi impegni: intensificare il dialogo con l’Europa, promuovere e sostenere le iniziative dal basso e il dialogo consumatori-operatori, mettere in agenda e sostenere azioni verso una riforma profonda delle politiche e della legislazione sulle droghe. Compiti alti e ardui, ma l’aria che si è respirata a Napoli è un’aria non di sola resistenza.
Info: www.itardd.net


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