Quella rendita che distrugge il legame sociale

by Sergio Segio | 29 Novembre 2013 8:23

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L’uso capitalistico del territorio ha visto conniventi amministrazioni pubbliche e imprese immobiliari e finanziarie Piero Bevilacqua
Dopo una lunga attività di urbanista impegnato sui territori di tante città italiane, il lavoro di consigliere comunale a Roma e a Venezia, consigliere regionale nel Veneto, una intensa produzione di saggista, l’attività di docente all’Università di Venezia, Edoardo Salzano ha accolto il pensionamento come occasione di una nuova sfida. Ha aperto un sito, Eddyburg, che in 10 anni di attività si è guadagnato un posto centrale sui temi della città, del territorio, dell’ambiente, del paesaggio e delle culture urbanistiche. Non pago del contributo dato alla riflessione sulle città, in una Italia che ha perduto ogni memoria di progettualità urbana, Salzano con altri amici organizza ogni anno la «scuola di Eddyburg», dedicata a temi specifici, a cui partecipano giovani provenienti da tutta Italia. Ora, dai temi dedicati dalla scuola nell’edizione degli ultimi due anni ha tratto un volume a più voci, (M. Baioni, I. Bonirubini, E. Salzano, La città non è solo un affare, Aemilia University Press, pp. 141) che offre un contributo importante alla riflessione sulle trasformazioni subite dalle città nella società industriali e sulle loro possibili prospettive.
Il volume si articola essenzialmente in tre ampi saggi, il primo, di Ilaria Bonirubini, riprende la riflessione teorica sulla categoria di sviluppo, sottoponendola a una critica serrata sulla base della saggistica più o meno recente, il secondo di Salzano, dedicato alla rendita fondiaria urbana e il terzo di Mauro Baioni, impegnato a dar conto di Città e territorio in Italia: gli effetti di un ventennio senza regole. Salzano riprende l’antico tema della rendita fondiaria – che tanto peso ha avuto nel determinare l’evoluzione storica delle nostre città – risalendo alle categorizzazioni di Marx e alle riflessioni più recenti di Claudio Napoleoni, ma con uno sguardo finale sulle varie modalità con cui essa ha pesato in Italia nell’ultimo cinquantennio.
Nell’epoca della finanziarizzazione sempre più spinta e senza regole dell’economia, dove il danaro crea direttamente altro danaro, la rendita urbana ha conosciuto una nuova e più perversa fioritura. Tra proprietà dei suoli e banche, antico connubbio della storia nazionale, si è creata un’alleanza di nuovo tipo, che – ricorda Salzano – solo una nuova sovranità della politica può spezzare. Ma la politica è stata sovranamente distante da questo ambito, salvo ad aprire spazi di libertà eslege alla circolazione del danaro. E dove è stata presente ha costituito anzi l’anello fondamentale dell’alleanza tra rendita e finanza.
Per trasformare il suolo incolto in edificio e dunque in merce vendibile, è sempre necessario che il potere amministrativo locale approvi, dia licenza. E dunque in nome dello sviluppo e del progresso, della creazione di posti di lavoro ( nuova motivo pubblicitario del capitale nell’epoca della disoccupazione di massa) la politica ha offerto libertà illimitata di consumo di suolo.
Baioni si incarica di mostrare quel che un ventennio di assoluta libertà del capitale finanziario e della rendita urbana ha prodotto sul tessuto vivo del nostro territorio. Ne emerge un quadro davvero singolare. Secondo l’Agenzia del territorio, ricorda Baioni, nel nostro paese ad ogni 100 famiglie corrispondono 127 abitazioni nel Nord Italia, 129 nel centro e 141 al Sud. In tutto circa 8 milioni di abitazioni in eccesso, rispetto al numero delle famiglie. Si tratta di un complesso abitativo fatto di seconde e terze case, di alloggi affittati, oppure vuoti e in attesa di essere venduti. Un patrimonio sovrabbondante formatosi nei decenni della seconda metà del Novecento, che sempre meno ha ubbidito alle necessità abitative degli italiani e sempre più alla ricerca di valorizzazione del capitale e della rendita.
Significativamente, a fronte di una popolazione nazionale stagnante, ravvivata solo dal flusso delle immigrazioni, negli ultimi 10 anni sono stati realizzati circa 2.500.000 nuovi alloggi. « È come – ricorda l’autore – se avessimo costruito dal nulla due città grandi come Roma». Siamo di fronte, come si comprende facilmente, a una enormità sotto il profilo territoriale e ambientale. Costruire oltre 1 miliardo di metri cubi di cemento in 10 anni significa aprire una ferita devastante al nostro fragile e mal messo territorio. Ma la vicenda mostra non solo la dissennatezza ambientale del nostro capitalismo. Denuncia anche la sua vocazione parassitaria, la sua ricerca di un investimento protetto, che non crea nuovi prodotti o servizi, ma consuma una materia prima a buon mercato, eppure così decisiva per la sicurezza di tutti noi: il suolo nazionale.

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