Potenti, spiatevi e lasciateci in pace

by Sergio Segio | 1 Novembre 2013 8:14

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 Purtroppo non sono solo le spie a “leggerci la posta” come si diceva una volta, e a seguire ogni nostra mossa. Lo fanno anche i giornalisti britannici che intercettano i cellulari e le internet companyamericane, società for profit fagocitatrici di dati.
Il bene fondamentale minacciato da tutti questi agenti tecnologicamente avanzati si può definire con una sola parola: privacy. Come ebbe a dire un pezzo grosso della Silicon Valley: «La privacy è morta. Fatevene una ragione». C’è chi non si rimette a questa idea. Vogliamo tenerci addosso ancora qualche panno. Crediamo che tutelare la privacy dell’individuo sia fondamentale non solo per la dignità umana ma anche per altri due validi motivi: la libertà e la sicurezza.
Il problema è che la privacy è al contempo imprescindibile e in attrito sia con la libertà che con la sicurezza. Un ministro del governo che mantiene l’amante tra lenzuola di seta a spese dei contribuenti francesi non può obiettare se la stampa mette in piazza la sua vita sessuale. La libertà del cittadino di vagliare la condotta dei personaggi pubblici batte l’esigenza di privacy del ministro. Il problema è stabilire il confine tra ciò che è realmente di interesse pubblico e ciò che semplicemente “interessa al pubblico”. Analogamente, se vogliamo essere protetti dagli attentati terroristici quando andiamo al lavoro la mattina, è necessario che i telefoni e le email di individui potenzialmente pericolosi siano controllati. Il problema è stabilire chi siano questi individui, quanti siano e a che tipo di controllo vada applicato.
Dalle rivelazioni di Edward Snowden pubblicate dal Guardian, dal New York Times e da altri giornali emerge fondamentalmente che negli Usa e in Gran Bretagna la regolamentazione non ha funzionato a dovere. La Nsa e il Gchq semplicemente succhiavano troppi dati riferiti a troppi privati in troppi paesi, sfruttando gli spazi di manovra offerti da normative superate, troppo generiche, e dall’inadeguata supervisione parlamentare. Il fatto che ora l’amministrazione Obama e il Congresso Usa intendano imporre un giro di vite e la Gran Bretagna si avvii in quella direzione è prova che qualcosa di marcio c’era. Senza l’intervento della talpa e della stampa libera non si sarebbero mossi.
Da poco impazza il dibattito sulle attività di spionaggio tra governi che in teoria sarebbero amici. Quello è un altro discorso. Mettiamo che io sia il governo del paese X. Ovviamente voglio che i miei segreti siano belli al sicuro mentre io accedo di soppiatto a quelli degli altri paesi. In pratica tutti ci provano. C’è una teoria, avanzata dalle spie di entrambe le parti durante la guerra fredda, ossia che se i ministri della difesa di tutto il mondo spiassero sotto le loro mutande antiproiettile il mondo sarebbe più sicuro. Eviterebbero il rischio di sovrastimarsi a torto.
Ma l’oggetto del dibattito non dovrebbe essere questo. Il tema fondamentale è la privacy dei singoli cittadini innocenti. La stampa libera ha spezzato una lancia a favore della nostra privacy nel momento in cui le leggi e i garanti erano venuti meno. Ma le spie non sono le sole ad usare le risorse ultra-orwelliane offerte dalla tecnologia delle comunicazioni contemporanea
per violare la privacy degli individui senza valido motivo. La rivista satirica Private Eye coglie in pieno questo aspetto. Con il titolo “L’ira della Merkel per le intercettazioni di Obama” pubblica una foto della cancelliera tedesca che scura in volto parla al cellulare. Il fumetto dice: “Ma chi credi di essere? Rupert Murdoch?”.
Nel momento in cui il premier britannico David Cameron e vari giornalisti delle testate di proprietà di Murdoch accusano il
Guardian di mettere a rischio la sicurezza nazionale, Rebekah Brooks, ex direttrice dell’ormai defunto tabloid di Murdoch,
News of the World, è sotto processo. Le imputazioni riguardano le intercettazioni di telefoni di privati operate da giornalisti della sua testata. Quelle intercettazioni non sono state effettuate nell’interesse della sicurezza nazionale ma per solleticare la curiosità del pubblico – e quindi vendere più copie.
Quindi se la stampa libera serve a monitorare gli eccessi della sorveglianza segreta da parte dello Stato, gran parte dell’opinione pubblica britannica gradisce che siano frenati anche gli eccessi di sorveglianza segreta da parte della stampa libera. Non vuole però che il potere di vigilanza sia affidato ai politici – a buona ragione, come testimonia il recente tentativo del presidente del partito conservatore, Grant Schapps, di mettere in riga la Bbc in vista delle prossime elezioni parlamentari del maggio 2015. Mercoledì però abbiamo assistito ad un tentativo goffo e antiquato a suffragio di una più severa autoregolamentazione della stampa attraverso la Royal Charter approvata dal Privy Council. Il Privy Council è costituito da un paio di ministri dei partiti al governo in piedi (non seduti) davanti a Sua Maestà Britannica che si limita a dire “approvato”. Tutto lì. Gli Stati Uniti hanno il Primo Emendamento, magnifico per chiarezza e semplicità, noi invece abbiamo la regina Elisabetta II che dichiara con la formula rituale di istituire «un ente giuridico noto come Recognition Panel». Il che non è altro che un meccanismo per riconoscere ufficialmente un organismo di  autoregolamentazione della stampa al cui giudizio molte importanti testate (incluso il gruppo Murdoch) sostengono di non volersi sottoporre. Nemmeno Washington riuscirebbe a fare più casino.
Per di più l’idea stessa di regolamentare “la stampa” in un contesto puramente nazionale sta diventando rapidamente anacronistica. Dove finisce “la stampa” e dove comincia un individuo che si esprime su Twitter o Facebook? E i dati, le parole e le immagini non trapelano solo al di là di tutte le piattaforme ma anche al di là di ogni frontiera nazionale. Così l’Ue punta ad applicare una tutela maggiore della privacy degli europei, contro i giganti Usa, tramite una nuova direttiva sulla protezione dei dati. Ma ciò comporta a sua volta il rischio di frammentare internet in più aree nazionali, cosa che sarebbe ben gradita a regimi autoritari come la Cina e la Russia. La privacy di alcuni potrebbe quindi essere accresciuta a spese della libera espressione online di tutti.
Non esiste una soluzione semplice del problema. Ma almeno puntiamo lo sguardo sull’obiettivo giusto, che non è lo spionaggio tra stati. È la massiccia erosione della privacy – la vostra.
Traduzione di Emilia Benghi

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