Passera, 50 esperti per la discesa in campo

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ROMA — Si prepara al rientro da un piccolo studio in via Archimede, ai Parioli. È in anno sabatico, la legge impedisce a un ex ministro di accettare incarichi professionali sulle materie che collimano con le deleghe avute al governo. Per dodici mesi. Lui ha avuto deleghe su quasi tutto, almeno in campo economico. Sulla scrivania alcuni dossier sono già completi, altri sono in progress: una squadra di 50 persone, imprenditori, professionisti, giuristi, professori, esperti del terzo settore, economisti, lo aiutano a scrivere e definire un programma per l’Italia. Un obiettivo altisonante per elenco di riforme che a suo giudizio «né Renzi né Alfano potranno mai attuare, semplicemente perché nessuno conosce i loro programmi, non ne parlano». E non ne parlano, è il non detto, perché non ne hanno.
Corrado Passera, classe ’54, ex manager, ex banchiere, ex ministro del governo Monti, non vuole tornare a fare il suo vecchio mestiere. Il suo futuro non lo vede in una società privata né pubblica (ha guidato le Poste, con giudizi divergenti, verso il rinnovamento), non in una banca italiana (è stato fra i protagonisti della fusione fra Banca Intesa e Sanpaolo Imi), nemmeno all’estero. La passione della politica, l’esperienza al dicastero dello Sviluppo economico, gli hanno cambiato la vita.
Non ha voglia di parlare, nè di aggiungere nulla rispetto a quanto detto a Gianni Minoli, nell’ultima intervista pubblica. Sono convinti, lui e i suoi collaboratori, che a gennaio, quando verrà presentato, il «Programma per l’Italia» farà discutere e diverrà catalizzatore: non è chiaro in quale veste, trapelano pochi dettagli, ma Passera è dell’idea che senza uno choc economico il nostro Paese è avviato verso un declino inesorabile. E il programma che sta scrivendo conterrà uno choc che «non può essere inferiore a 200 miliardi di euro», magari grazie anche ad un grande piano di sblocco del credito privato.
Da qui a gennaio devono succedere tante cose, sarà più chiaro se e come il governo terrà, se e come il Pdl si dividerà. Passera attende, pronto a rivelare qualcosa in più nel momento giusto. Oltre che di contenuti, dovrà occuparsi del «come»: Minoli lo ha stuzzicato, una cosa sono le idee, per quanto buone, un’altra è il consenso. Nello studio di via Archimede ne sono consapevoli, ma non si sottraggono alla sfida.
Forse arriverà prima una fondazione, poi un vero movimento politico, di sicuro l’ex banchiere è convinto che i partiti tradizionali «sono morti, non sono più in grado di governare i processi di cui ha bisogno il Paese, costano troppo». Quando arriverà il momento la strada giusta sarà un fundraising in stile americano, il crowdfunding , la ricerca di risorse fra grandi e piccoli finanziatori, anche attraverso la rete; al momento ci sono finanze personali, volontariato e un gruppo di persone che ci credono.
Il progetto, dicono, è a buon punto: nuclei di relazioni e persone che potrebbero diventare l’ossatura di un futuro movimento «li abbiamo già in tutte le Regioni»; per il momento viene prima il programma, poi ci occuperemo del «contenitore». Ma Passerà è sicuro che sarà il primo il punto di svolta: giustizia, pubblica amministrazione, riforme economiche, internazionalizzazione, ecc.. Sulla scrivania il programma è diviso per campi e dossier, le 50 persone che stanno dando un contributo sono divise per gruppi di lavoro.
L’enfasi sul programma del resto è frutto di una convinzione molto solida: tutti i partiti stanno cambiando, solo ieri nel Pdl e in Scelta civica si sono consumate due scissioni, anche il Pd potrebbe cambiare pelle, «di certo nessuno di questi è in grado di affrontare in modo efficace il declino del Paese». Quasi 10 milioni di persone soffrono di disagio sociale, disoccupati più inoccupati, cassintegrati, sottooccupati: «Il Paese e la sua tenuta sono a rischio», è la premessa di Passera, per questo non si può fare nulla senza partire da un programma in qualche modo eccezionale, coraggioso, diverso da quelli del passato.
Un passato che oggi per Passera è un ricordo lontano: da metà del governo Monti «non si discute più di programmi, i partiti guardano solo il proprio ombelico». La parabola di Monti, l’esperienza dell’Italia futura di Montezemolo, non lo scoraggiano: «Non saremo nè un gruppo di tecnocrati, nè un altro partitino», dice ai suoi collaboratori, convinto di poter tornare protagonista della politica italiana. A gennaio, quando svelerà le prima carte, ne sapremo di più.
Marco Galluzzo


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