Ma sul tavolo resta la carta delle dimissioni
Potrebbe pure accadere che lei stessa decida di dimettersi prima, nonostante la «lettera aperta» di ieri. Ma quella pagina e mezza sottoscritta di suo pugno è la carta che Annamaria Cancellieri ha deciso di giocare, con l’accordo del presidente del Consiglio e soprattutto di Giorgio Napolitano, per provare a uscire dall’angolo dove si sente ingiustamente costretta. Con l’obiettivo di salvaguardare la propria persona e la propria immagine, prima che di rimanere sulla poltrona di Guardasigilli. La coincidenza tra le due cose è tutt’altro discorso.
Con i suoi più stretti collaboratori riuniti pressoché in permanenza nelle stanze di via Arenula, il prefetto chiamato a guidare la macchina della Giustizia ha scandagliato ogni ipotesi, muovendosi tra il suo ufficio, palazzo Chigi e il Quirinale. Di prima mattina, dopo la lettura dei giornali, qualcuno dello staff le ha suggerito di anticipare tutti e rimettere subito l’incarico, rivendicando la propria correttezza. In modo da costringere i suoi interlocutori, eventualmente, a chiederle di ripensarci. Ma non s’è convinta. Poi è andata nella sede del governo, per parlarne con Enrico Letta e gli altri ministri.
È lì che il presidente del Consiglio le ha chiesto di «tenere duro»; se non ci sono novità — come insiste la Guardasigilli — nelle ultime rivelazioni rispetto alla deposizione davanti ai magistrati di Torino e al discorso pronunciato in Parlamento, non c’è motivo di andarsene. Perché questa è la «linea Cancellieri» sui fatti: quel che è accaduto coincide con quanto lei stessa ha raccontato, al netto dei «dettagli» su una telefonata con Nino Ligresti fatta anziché ricevuta, visto che avvenne a seguito di due precedenti chiamate rimaste senza risposta; o su una risposta a un messaggio con un’ulteriore conversazione (di 7 minuti e mezzo, di cui non si conosce il contenuto) invece di un sms. Particolari che per la Cancellieri non cambiano la sostanza. «Allora andiamo avanti», l’ha incoraggiata Letta.
Ma il problema non è lui, bensì il Partito democratico. Nessuno dei quattro candidati alla segreteria mostra di ritenere che il ministro della Giustizia possa restare dov’è. Tra i colleghi il più renziano di tutti, Graziano Del Rio, spiega che il suo leader insiste perché se ne vada ma lui non la pensa così. E tra gli altri, ai quali Cancellieri appare piuttosto provata , nessuno spinge per il passo indietro. Emma Bonino esprime la sua ferma contrarietà. Nelle considerazioni di tutti, un’eventuale sostituzione del ministro provocherebbe un ulteriore problema nella maggioranza di cui non si sente il bisogno. In aprile la scelta del prefetto in pensione fu il frutto di un faticoso compromesso tra spinte e candidature contrapposte; riaprire oggi quel capitolo con il condannato Berlusconi pronto a far pesare il proprio parere, significherebbe avventurarsi in una diatriba dalle conseguenze imprevedibili.
La Guardasigilli, che alla prossima riunione del governo già fissata per martedì era decisa a portare un decreto legge con qualche norma utile ad affrontare l’emergenza del sovraffollamento carcerario, informa che si presenterà con il discorso da proporre l’indomani a Montecitorio, per fronteggiare la mozione di sfiducia. Ma a quel giorno manca ancora molto tempo. Forse troppo. Tornata in via Arenula, butta giù la lettera da rendere pubblica nel pomeriggio. Ribadisce la propria correttezza, ma in un nessun passaggio assicura che resterà al suo posto. La frase chiave è l’ultima: «Rifiuto qualunque sospetto sulla correttezza del mio operato e sul rispetto delle regole come cittadina e come Ministro». Come dire che se continueranno a dubitare di lei è pronta a rassegnare le dimissioni.
Il via libera alla diffusione del testo arriva da Giorgio Napolitano, che resta tuttora il suo principale sponsor, dopo l’incontro al Quirinale. E l’auspicio del capo dello Stato per «l’ulteriore pieno sviluppo dell’azione di governo avviata» dalla Guardasigilli sulla questione carceraria viene letto (e fatto leggere) come una rinnovata fiducia ad Annamaria Cancellieri. Che incassa, ben sapendo che nemmeno questo potrebbe bastare a consentirle di proseguire il lavoro iniziato.
Giovanni Bianconi
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