L’ultima sfida tra le superpotenze

by Sergio Segio | 28 Novembre 2013 9:27

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La prossima “guerra del Pacifico” non ha bisogno di una dichiarazione. È già cominciata, ricorre all’esibizione delle armi per rendere credibili le parole e riscatta dalle nebbie i due nemici ufficiali: la Cina e gli Stati Uniti, le sole due super-potenze del mondo, ormai in lotta per il dominio del secolo. In mezzo il Giappone, con una manciata di scogli che promettono limitati tesori energetici, e le economie emergenti dell’Asia: Corea del Sud, Australia, ma anche Indonesia e Vietnam, e più lontano l’India. A provocazione segue così provocazione, dai cieli si passa ai mari e sulla terraferma si mobilitano anche gli eserciti.
Al terzo round Pechino, dopo aver offerto a Washington qualche ora di tregua, si è dunque decisa ieri a una mossa senza precedenti: ha fatto salpare la sua prima portaerei indirizzandola lungo la stessa rotta di quella che gli Usa hanno mosso da una base in Corea del Sud. Giganti improvvisamente impegnati in “esercitazioni programmate”: due macigni sulla strada del riaffermato “dialogo alla pari” dell’imploso G2, che pesano ora sulla missione che fino al 7 dicembre porterà il vicepresidente americano Joe Biden, «fortemente preoccupato», proprio a Pechino, Tokyo e Seul.

A far traboccare un vaso che andava riempiendosi da oltre due anni, dopo lo strappo cinese di sabato, l’ordinedellaCasaBiancadi alzare in volo due bombardieri disarmati, per confermare di essere ancora il tutore del Sol Levante. La Cina è stata così costretta a minacciare di «essere pronta ad abbattere gli aerei che sorvoleranno con intenzioni ritenute ostili la nuova zona di identificazione per la difesa aerea (Zai)». Gli Usa hanno subito ripetuto che «la decisione di Pechino di stabilire un’area di protezione aerea sul Mar cinese orientale è inquietante e destabilizzante per i Paesi vicini ». Diplomazia superata dagli eventi, perché mentre i portavoce stilavano comunicati, i generali muovevano uomini e mezzi. Pechino, per guadagnare tempo, ha detto di «aver monitorato e identificato» i B52 americani che martedì hanno violato la nuova Zai, proclamata in modo unilaterale, ma si è astenuta da ventilate azioni di rappresaglia. Il ministero della Difesa si è mostrato anzi in difficoltà per l’immediato compattamento ostile dei Paesi vicini, uniti dalla reazione Usa. «L’esercito cinese ha registrato l’intero volo dei B52 — recita una nota — e ha la capacità di mantenere un controllo efficiente sullo spazio aereo interessato». La nuova leadership di Pechino, dopo aver riacceso il fuoco delle contese territoriali nel Pacifico, lascia dunque intendere che gli Usa sono per ora risparmiati da attacchi diretti, ma ribadisce che il quadro delle rivendicate sovranità, in Estremo Oriente, ormai è mutato.
E l’escalation della tensione tra Cina e Giappone per il controllo dell’arcipelago delle Senkaku-Diaoyu, scoppiata per necessità di contrapposto consenso nazionalistico interno, dal cielo si è spostata nell’oceano. Dal porto di Qingdao ha mollato gli ormeggi la Liaoning, la portaerei che Pechino ha acquistato dall’Ucraina, relitto sovietico sottoposto a ristrutturazione totale e ora in rotta verso il Mar cinese meridionale assieme a due incrociatori lanciamissili. Versione ufficiale: addestramento dell’equipaggio. Nei fatti naviga proprio tra le isole contese a Tokyo, nelle stesse ore in cui solca quelle acque anche la portaerei Usa spostata precipitosamente dalla base sudcoreana e accompagnata da una flotta di navi da guerra giapponesi. E’ il più impressionante confronto a distanza tra gli arsenali atomici più avanzati del mondo e la mobilitazione ha fatto riscattare l’allarme in tutta l’Asia. Alle proteste di Tokyo contro la Zai, a cui si è aggiunta la solidarietà del nuovo ambasciatore Usa in Giappone, Caroline Kennedy, si è unita infatti la rivolta di Australia, Corea del Sud e Taiwan, che hanno «chiesto spiegazioni» su una «zona aerea difensiva» che viola anche la loro sovranità. «Se i conflitti territoriali e le questioni storiche si mescolano con il nazionalismo — ha detto Seul — lo stato della regione può rapidamente degenerare». Pechino, dove riesplode sul web lo storico odio anti- giapponese, ha cercato così di rassicurare la comunità internazionale «libera dall’influenza americana». «Le altre nazioni non devono allarmarsi — ha fatto sapere — perché la Zai è solo una misura necessaria a proteggere la sovranità e la sicurezza della Cina». Messaggio distensivo in codice, esito del timore, cresciuto in serata, che Usa e Giappone possano compiere azioni a fronte delle quali «sarebbe impossibile evitare di reagire con la forza».
La nuova Zai però è una realtà, alcune compagnie aeree nel dubbio hanno fatto sapere che la rispetteranno e le cancellerie straniere non nascondono più i timori per «un conflitto innescato dalla necessità politica di controllare le rotte commerciali e i fondali ricchi di energia nel Pacifico ». Uno scontro preparato ogni giorno, ma che a Pechino, Tokyo e Washington gli strateghi definiscono «ancora prematuro », convinti che «la tensione diplomatica salirà per mesi, ma che gli interessi economici comuni impediscono un rapido precipitare dello stallo». Le prime tre economie del mondo, secondo alti funzionari governativi, «trarrebbero benefìci da un clima militare altamente instabile», ma risulterebbero «pesantemente danneggiate da uno scontro armato nel breve periodo». La Zai servirebbe alla Cina per «confermare un peso esterno all’esercito », ridimensionato dal nuovo sistema di sicurezza interno approvato dall’ultimo Plenum, e per dare una “dimensione visibile” al suo nuovo ruolo mondiale. Al tempo stesso la mossa cinese consente agli Usa, alleggeriti in Medio Oriente, di «rilanciare industria bellica nazionale e presenza militare nel Pacifico», compattando «gli alleati storici dell’Oriente spaventati dall’ascesa del Dragone». I venti di guerra attorno alle Senkaku, secondo la stessa stampa nipponica, offrirebbero infine al Giappone l’opportunità di «sviare l’attenzione popolare dalle difficoltà dell’Abenomics (l’aggressiva politica di bilancio lanciata un anno fa dal premier conservatore Shinzo Abe)».
Avessero ragione i think-tank, sarebbe l’esordio di una nuova Guerra fredda, con la Cina al posto dell’Urss e il Giappone sul fronte opposto rispetto alla Ddr, protetto dagli Usa. Cieli interdetti, territori contesi e mari occupati per un tacito accordo attorno a una «sequenza controllata di provocazioni reciproche a scopo di dissuasione bellica». «Agli arsenali atomici — ha commentato a Pechino un influente diplomatico della zona euro — seguono gli interessi commerciali e dopo la svolta in Iran si avvicina la resa dei conti sulla Corea del Nord». Guerra per Tokyo pensando dunque a Pyongyang, con il rischio che nel Pacifico un evento casuale faccia sfuggire di mano la situazione a qualcuno. «Un errore di calcolo — ha osservato il Pentagono — è possibile. Piccolo particolare che trascinerebbe non solo l’Estremo Oriente in un conflitto che minaccia di estendersi fino a rendere velleitaria anche la più modesta ambizione di una ripresa globale».

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