Linea Socialdemocratica per limare il surplus

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In più dovrà essere approvata dagli iscritti della Spd in dicembre, per diventare effettiva. Già ora, però, si può dire che quel budino non sembra preparato dalla cancelliera che abbiamo conosciuto in questi anni: in omaggio alla religione del pragmatismo e del compromesso, sembra più qualcosa uscito dai forni della Commissione Ue, del Tesoro americano, del governo di Enrico Letta. Una serie di misure, cioè, che hanno la possibilità di ridurre la competitività della Germania e di ridurre quell’avanzo commerciale che molti considerano il problema dell’Eurozona. Nelle scorse settimane, il ministero del Tesoro di Washington ha detto che l’eccesso di competitività tedesco è una causa di deflazione (calo dei prezzi) globale. Sul grande surplus delle partite correnti di Berlino – verso il 7% del Prodotto interno lordo – Bruxelles ha aperto una procedura d’infrazione. Letta ha più volte chiesto che la Germania rinunci alla politica di austerità. Angela Merkel ha risposto a tutti che non si può chiedere ai tedeschi di frenare la loro economia: la forza della Germania, anzi, aiuta il resto dell’Europa. Poi, ha firmato il programma di ieri: sembra scritto con in mente proprio l’idea di ridurre la competitività tedesca, di limare le riforme introdotte dieci anni fa dal governo di Gerhard Schröder. Il salario minimo, al quale la signora Merkel si era sempre opposta, è di 8,50 euro all’ora, tra i più alti. Il lavoro temporaneo, che ha dato accesso al lavoro a milioni di persone prima disoccupate, sarà meno flessibile. Gli affitti saranno più regolamentati. La famosa età pensionabile, che Frau Merkel ha chiesto a tutti i Paesi europei di aumentare, sarà ridotta da 67 a 63 anni per chi ha lavorato 45 anni. Le madri con figli nati prima del 1992 riceveranno pensioni un po’ migliori. Tutte misure ben intenzionate e molto socialdemocratiche. Ma ognuna destinata a togliere un po’ di competitività all’economia tedesca. Non solo. Dove sia la copertura delle nuove spese non è chiaro, anche se la Grande Coalizione promette di non compromettere i conti pubblici. Soprattutto, di tagli delle tasse, di riforme, di liberalizzazioni dei servizi, di tagli delle spese – necessità sottolineate dagli economisti per stimolare il mercato interno senza intaccare l’efficienza dell’economia – non c’è traccia. Proveremo il budino del pragmatismo.


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