Liberalizzazioni verdi e tasse sull’ambiente
Rispetto allo scarno comunicato che aveva seguito la chiusura del Plenum del Partito comunista martedì scorso, lasciando osservatori e ambientalisti delusi riguardo le prese di posizione sulle emergenze ambientali che stanno mettendo la Cina sotto scacco, con la pubblicazione del documento integrale che elenca le aree di intervento individuate, avvenuta ieri, le cose si sono andate delineando con maggiore chiarezza in una serie di ambiti, tra cui quello ambientaleo. Il generale appello al via libera del mercato ha ricevuto nell’integrazione del documento un chiarimento importante. Il riferimento, al mercato dei crediti di emissione, recentemente inaugurato in Cina sembra infatti trovare conferma che promette di esplicitarsi con un ulteriore potenziamento dei progetti già in corso e l’avvio di nuovi esperimenti in tutto il paese. Il premier Li Keqianq ha inoltre annunciato un’apertura del settore delle energie pulite, rimasto fino ad ora blindato agli investimenti esteri. Se fino ad oggi infatti è valsa la regola che pemetteva una partecipazione limitata di attori stranieri in progetti relativi alle energie rinnovabili come i parchi eolici, le cose sono destinate a cambiare. Per far fronte alla drammatica situazione ambientale e trovare un senso economico allo sforzo in tal senso, la Cina deve continuare a investire in fonti energetiche alternative come già sta facendo, ma deve farlo in modo più strutturato, superando gli ostacoli incontrati fino ad ora e capitalizzando in tecnologie e competenze, che non possono che arrivare da oltre muraglia. Si chiarisce inoltre l’accenno all’urgenza di stabilire la cosiddetta «linea rossa», per le questioni ambientali. Si tratta di individuare delle soglie precise entro cui è necessario contenere le esternalità negative legate all’attività industriale e che si riflettono sull’ambiente, passo importante verso una politica dell’auto-contenimento del paese, almeno in termini ecologici. Strettamente connesso alla questione delle soglie di pericolo, è il potenziamento dei sistemi di monitoraggio degli indicatori ambientali e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale dei progetti d’investimento industriale previsti nel paese e che sono già regolati da una legge del 2002, che ha però fino ad ora incontrato serie difficoltà di implementazione a livello provinciale. Infine si fa accenno alla realizzazione di un sistema di compensazioni ambientali e di tassazione sull’utilizzo delle risorse che dovrebbero andare a convergere in una più estesa tassa sull’ambiente, i cui caratteri però non sono ancora resi con chiarezza. Per mettere in moto questa macchina ecologica è necessario accendere il motore. I leader cinesi lo sanno bene e già da qualche tempo il governo ha identificato nell’introduzione di indicatori relativi alla capacità di salvaguardare le risorse naturali e di rispettare le comunità locali, nei parametri che regolano promozioni e avanzamenti di carriera dei funzionari di partito, la chiave giusta per avviare il processo di costruzione di una ‘civiltà ecologica’. Solo legando a doppio nodo ambiente e mercato e indirizzando le ambizioni della burocrazia verso obiettivi verdi, la Cina si potrà salvare.
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