Le mille luci di Milano

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Piero Fornasetti, ora celebrato per l’occasione centenaria, lo ricordo volentieri come assoluto dandy milanese con perfetti velluti e camicie e loden e baffetti da Savoia Cavalleria, fra zafferano e argenteria e tartufi e vita di club. Nel suo memorabile negozio in via Romagnosi, sul fianco dell’allora Hotel Continental, a due passi dal portone di Giangiacomo Feltrinelli e del Milan Football Club. E a pochi metri, beninteso, dalla Scala. Quanti bellissimi pliants neri laccati a nodi, si comprarono lì; e portaombrelli con profili di cani, e portaghiaccio a righe verticali verdi e blu, e busti romani di terracotta verdolina, e mezzelune dorate da insalata, e porcellane accartocciate con testate del Mondo o programmi di Toscanini, grandi portasapone o posacenere d’oro opaco “grande antico” facili da amalgamare nei contesti di basso profilo, porta-tutto cilindrici con decorazioni di paglie viennesi…
Neoclassicismi in bianco e nero venuti da un surrealismo rigoroso, Arlecchini e Pulcinelli passati da Picasso. Ordini architettonici scomposti e ricomposti (all’insegna di Gio Ponti) in aneddoti e anacoluti stilizzati e metafisici. In uno spazio visivo pieno di segni eleganti molto forti. Conchiglie e farfalle, carte da gioco, pesci e obelischi e il Sole. Una super-decorazione molto rastremata e generosa di bellezze concettuali per gli oggetti che affollano la vita quotidiana. Errando, più o meno banali, in attesa di design.
Ecco allora una memorabile “piattaia” (come si sarebbe detto nel lontano Rinascimento). Una grafica di sublime virtuosismo scompagina e poi assembla corpi e volti in tondi manieristici o concavi o bombati dove un viso femminile molto ottocentesco diventa una lampadina illuminata, una perla in una conchiglia, un pallone di montgolfiera, un quadrante d’orologio, un piatto dentro un piatto (con le sue posate), mentre l’occhio bruno decostruito riemerge in una fetta di groviera, una viola del pensiero, un muso di tigre… E le mirabili cupole in prospettiva della Salute e Sant’Ivo, di Brunelleschi a Firenze e Guarini a Torino… E quella famosa tenda veneziana che riproduce la facciate delle Procuratie Nuove. Così, quando si vide al Piccolo Teatro quel famoso e noioso Galileo di Brecht, con una scenografia a dettagli di modelli architettonici, venne spontaneo esclamare: ma è un Fornasetti! Come poi vedendo stilizzazioni di posate e mestoli sulle salviette di «Valentino Più».
Templi greci, obelischi, frontoni e basiliche e colonnati intensamente Kitsch su vassoi solidamente metallici, e non di plasticaccia o Galeries Lafayette come quelli che suscitavano gli entusiasmi di Marie-Laure de Noailles. Poi, il Postmoderno riporta indietro greche, chitarre, piedoni nudi, Pompei, Picasso, Magritte, litografie di Max Ernst dove l’ultimo vagone di un treno contiene una gondola col suo gondoliere. Riecco dunque un alto collezionismo di cabinets e trumeaux decorati come biblioteche di libri antichi, architetture di Vitruvio e Palladio, ville pompeiane immaginarie, città fantastiche di Savinio o Piranesi con folli applicazioni di malachiti da Palazzo d’Inverno…
Una domenica pomeriggio, dopo una colazione dietro la Scala, passiamo a vedere la nuova bottega di Fornasetti in via Brera: ovvio emporio di magie e misteri meridiani. E lì, vedendomi salutare oltre la vetrina mi chiedono se saluto le teste o i busti.
Salutavo invece Fornasetti, elegantissimo in nero, che sistemava le sue teste-seggiole, accarezzava i suoi cani e gatti sui portacarte cilindrici, sorrideva rispondendo al saluto. Come un trompe-l’oleil di se stesso. Una domenica. Verso le tre.
Ancora poco fa, all’Albergo Orologio di Abano Terme, si arrivava alla piscina per una sua inconfondibile sala marina, con losanghe di vere conchiglie alle pareti e sui lustres…
E forse proprio una connotazione stilistica tanto originale e così riconoscibile nell’invenzione e nei procedimenti ha un po’ nuociuto all’Immagine di Fornasetti negli anni della nuova sobrietà minimalistica. Come per certi Missoni o Hermès di cui si individuano subito la provenienza e il prezzo. Un vassoio di Fornasetti, invece, rimarrà sempre un pezzo unico, non avvicinabile ad altri Fornasetti, così come i vassoietti cheap con nature morte di verdure e formaggi presso i musei olandesi. E allora, preferisco ricordarlo a un ultimo ballo nella Villa di Maser, appartato e ridente tra le fiaccole sulla terrazza, come accanto a un grande camino sopra un giardino segreto. Fra Marine Grandi e Piccole, Volpi e Cicogne araldiche, e i trompe-l’oeil del Veronese che improvvisamente sembravano dei Fornasetti, davanti a una porta dipinta come qualche suo portaombrelli o paravento.
***
Giovane e bellissima, Benedetta Barzini come danzando o indossando e sfilando manovrava i riflettori abbastanza umili in un desolato ex-cinema in St. Mark’s Place.
Chelsea Girls! Quando ancora luoghi apertamente degradati potevano suonare favolosi e mitici: East Village, Greenwich Village, Stuyvesant, Bowery… E di lì, ovviamente, nel leggendario loft foderato di stagnola dove Andy Warhol sembrava farsi piccino picciò fra tutte le genti e le registrazioni che occupavano per giorni e notti la sua Factory, in nome di qualche «Exploding Plastic Inevitable ». Forse qualche volta incidendo il disco “lp” con «The Velvet Underground & Nico» prodotto da Warhol stesso con M-G-M, e giudicato allora «un matrimonio segreto fra Bob Dylan e il Marchese de Sade», mentre il bel viso mascolino e macabro della cantante Nico appariva come un «memento mori», fu scritto. Una gran calma, riascoltandolo adesso. E songs di Lou Reed. E una bella banana warholiana sulla copertina.
Anni e anni dopo, Carlo Ponti sovvenzionò in economia un Il mostro è in tavola, barone Frankenstein e Dracula cerca sangue di vergine, e morì di sete warholiani ai Castelli romani, con l’ultimo saluto di De Sica e un cameo di Polanski. Li girava Paul Morrissey, con la solita troupe della Factory. Interprete era Udo Kier, giovane tedesco di bell’aspetto in giro talvolta con la nobile genovese Paola Rolli, cognata di Gaio Visconti ed esperta “pr”.
Warhol venne per la prima volta a Roma invitato da Graziella Lonardi, e per qualche giorno tacque, limitandosi alla sua efficiente polaroid. Anche al suo arrivo, era appena morta la principessa madre di un cospicuo sovvenzionatore, ivi fu condotto subito dopo lo sbarco a Fiumicino. E fotografò la salma.
Poi abbiamo avuto fior di foto insieme, con due splendori quali Marta Marzotto e Graziella. Con fondali magnifici. E la sua allure non fu mai deludente. Al gran ballo veneziano per il debutto di una giovane illustre, la mamma e la nonna ripetevano «les cartons sont finis» a chi chiedeva un invito. Ma lui fu perfetto: in blue jeans sotto lo sparato da smoking.


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