L’amarezza dei pm di Torino e lo scontro con il ministero

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TORINO — Neppure il silenzio riesce a nascondere l’amarezza. Marcello Maddalena e Giancarlo Caselli, rispettivamente procuratore generale e procuratore capo, sono due vecchie volpi della magistratura. Sapevano dove questa vicenda del ministro Cancellieri sarebbe andata a parare.
Il loro colloquio di ieri mattina non è stato dei più allegri. Hanno letto su alcuni giornali, le critiche, non ufficiali ma è come se lo fossero, che stanno piovendo sul comportamento e sul lavoro dei loro magistrati. Dalla violazione della competenza del tribunale dei ministri all’uso delle intercettazioni del Guardasigilli senza il via libera del Parlamento, fino a un interrogatorio svolto come persona informata dei fatti e non come indagata, quindi in assenza di avvocato.
Ministero della Giustizia contro procura di Torino, a farla breve. Maddalena, a cui spetta il dovere di vigilare sui comportamenti dei magistrati torinesi, ha risposto con un comunicato dai toni piuttosto duri, nel quale dà in buona sostanza dell’ignorante agli anonimi funzionari ministeriali estensori delle critiche. «Alcune asserzioni appaiono francamente incredibili e stupefacenti anche sotto il profilo della conoscenza della normativa processuale penale».
I toni sono questi, piuttosto irrituali da una parte e dall’altra. Il Galateo istituzionale che aveva permeato l’unico contatto diretto tra il ministro e la procura, l’interrogatorio avvenuto a Roma lo scorso 22 agosto, appartiene al passato. Il presente è carico di tensione su entrambi i fronti, chiamiamoli così. Maddalena è stato tenuto al corrente di ogni singolo passo mosso dai magistrati verso il loro ministro. Un sospiro: «Confesso di essere piuttosto stupito e amareggiato davanti ad accuse che mi sembrano pretestuose». Il peggio, forse, deve ancora arrivare. Anche per questo la Procura generale ha chiesto con urgenza al sostituto procuratore titolare dell’inchiesta una dettagliata relazione che ripercorra e spieghi ogni singolo punto dell’inchiesta. Ce ne potrebbe essere bisogno.
La verità è che anche vista da una prospettiva torinese, la vicenda Cancellieri è diventata una notevole patata bollente. Ma il desiderio di sbarazzarsene, inviando alla procura di Roma le notazioni della Guardia di finanza sulle telefonate del ministro, non è così facile da esaudire. I profili penali che potrebbero riguardare Annamaria Cancellieri vengono giudicati scarsi. In questa storia, il collo di bottiglia è rappresentato proprio dall’interrogatorio della Guardasigilli. Quel giorno, la sua posizione non è in dubbio. I magistrati vogliono soltanto capire cosa sta succedendo. L’ascolto di familiari e congiunti ha rivelato l’attività di molta gente che si mobilita, o promette di farlo, per la scarcerazione di Giulia Ligresti. Il nome del Guardasigilli viene spesso evocato.
Il 22 agosto Annamaria Cancellieri viene sentita a Roma dall’aggiunto Vittorio Nessi. Una pura formalità, o quasi. L’interrogatorio non viene neppure registrato. Le due telefonate agli atti, da lei spiegate e motivate, non vengono giudicate di grande importanza. Il ministro spiega come e quando le ha fatte. «Dopo di allora non ho più sentito nessuno». Poi aggiunge che proprio la sera precedente all’incontro con il pubblico ministero torinese ha ricevuto un sms da Antonino Ligresti che gli chiedeva se avesse novità sulla vicenda di Giulia. «Gli ho risposto» dice.
Il verbale si chiude così. Non ci sono domande. Il magistrato non chiede, il ministro non precisa come e in che modo ha risposto. Dice solo che lo ha fatto. Quella indeterminatezza potrebbe mettere al riparo il ministro dalle accuse di false dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria, e oggi viene considerata dagli stessi pm come uno scoglio difficilmente aggirabile. In una botte di ferro, o quasi, nonostante quel che accade dopo. Il 29 agosto, giorno seguente alla scarcerazione di Giulia, il pubblico ministero Marco Gianoglio chiede alla Guardia di finanza ulteriori accertamenti su un nuovo personaggio. Dal traffico telefonico è infatti emersa la figura di Antonino Ligresti, fuori da ogni carica societaria, mai entrato nei radar della procura, ma forse il più attivo in quei giorni, la vera figura di riferimento della famiglia per i contatti con il potente di turno. I primi esiti, comunicati a voce al pm, arrivano a metà ottobre. C’è un terzo contatto telefonico tra il ministro e Antonino Ligresti. Avviene proprio il 21 settembre, il giorno prima dell’interrogatorio. Gli investigatori non sanno che il ministro, in qualche modo, ne ha accennato a Nessi. È a questo contatto che si riferisce il «ho risposto» del ministro? La domanda è valida ancora oggi.
Intanto la pubblicazione delle prime due telefonate, depositate agli atti, surriscalda il clima politico. La procura precisa a mezzo stampa di non aver subito alcuna interferenza riguardo la decisione di chiedere la scarcerazione di Giulia Ligresti. «Nulla di penalmente rilevante» è tormentone di quei giorni. Il 6 novembre la Guardia di finanza deposita la sua notazione. Sono passati due mesi dalla richiesta del pubblico ministero. Interrogatori, preparazione di una rogatoria in Svizzera e chiusura dei faldoni per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato, questa la spiegazione data per i tempi lunghi.
La terza telefonata del ministro, certificata dalla notazione finale della Gdf, pone i pm torinesi di fronte a un dilemma. L’abuso di ufficio era già stato escluso dai comunicati della procura. L’ipotesi delle false dichiarazioni, rese in un blando interrogatorio del quale non esiste traccia vocale, non sembra reggere. Eppure c’è la sensazione che manchi qualcosa, che forse la buona fede non è stata ripagata da uguale moneta. Piccolo dettaglio, manca il reato al quale appendere ogni eventuale accusa. L’unica soluzione alternativa sarebbe l’invio del fascicolo a Roma con un modello 45, atti non costituenti reato, soluzione praticabile ma irrituale. In una storia dove aleggia il sospetto, per i magistrati sarebbe difficile giustificare un trattamento così particolare riservato al «loro» ministro.
Giusi Fasano
Marco Imarisio


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