IL VIZIO ANTICO DELLA SINISTRA
Ecco le tappe cruciali dello scissionismo nella storia della sinistra italiana: nel 1912 l’ala rivoluzionaria del Partito socialista, guidata da Mussolini, espelle quella che costituirà il Partito socialista riformista; nel 1921 la corrente comunista si stacca dal Partito socialista e dà vita al Partito comunista d’Italia; nel 1922 i riformisti espulsi dal Psi formano il Partito socialista unitario; nel 1947 Saragat abbandona Nenni e crea un proprio partito; nel 1964 la corrente contraria all’ingresso del Psi nell’area di governo reagisce facendo nascere il Psiup; nel 1969 il Partito socialista unificato, sorto dalla confluenza di socialisti e socialdemocratici, si scinde nuovamente. Il crollo del sistema partitico nei primi anni ’90 dà inizio ad una nuova stagione dello scissionismo nella sinistra. Nel 1991 lo scioglimento del Pci che porta la maggioranza a formare il Partito democratico della sinistra induce la minoranza a organizzarsi nel Partito della rifondazione comunista, da cui nel
1998 si stacca la frazione che diventa il Partito dei Comunisti Italiani; nel 2007 al lancio del Partito democratico – che si innesta sul tronco del Pds e dei Democratici di sinistra – fa seguito, per reazione a quella che viene considerata un’involuzione moderata, la nascita della Sinistra, l’Arcobaleno, nucleo originario di Sinistra, Ecologia e Libertà.
È dunque lunga la vicenda delle scissioni nella sinistra italiana. Naturalmente, la fredda cronologia che precede non spiega nulla della logica e dei contenuti che l’hanno animata. In estrema sintesi si può dire questo. Ribadito che la spinta di gran lunga prevalente è venuta dalle correnti antiriformistiche, occorre sottolineare che lo spirito che ha costantemente animate queste ultime è stata l’opposizione intransigente all’ordine politico e sociale costituito, l’inseguire un fine di mutamento rivoluzionario o quanto meno radicale che ha sistematicamente cozzato contro le barriere vincenti del moderatismo quando non della reazione. Sennonché, come ben noto, la storia d’Italia si è caratterizzata – unico caso in quella dei maggiori paesi europei – per non aver conosciuto alcuna rivoluzione e neppure aver visto entrare in azione seri movimenti rivoluzionari superando la sfera ideologica. Ma, se le correnti ispirate a un’ideologia rivoluzionaria non hanno raggiunto il loro scopo, hanno però avuto un ruolo determinante nella generale sconfitta del riformismo sia socialdemocratico sia “democratico-borghese”. Un bilancio su cui riflettere.
E ora una domanda: è finita la spinta allo scissionismo nella sinistra italiana? Premesso che il Partito democratico – il quale nel dibattito pubblico attuale continua ad essere correntemente indicato come il maggior partito della sinistra – in effetti è una formazione che, da quando nata, è stata caratterizzata e travagliata dalle molte e irrisolte diatribe circa il suo essere o non essere propriamente di “sinistra”, a guardare alle sue divisioni interne si è indotti quanto meno a dubitare che una scissione al suo interno, promossa vuoi da chi vuole più sinistra e vuoi da chi essere di sinistra non lo vuole per niente, sia in futuro da escludersi.
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Disorientati. Andiamo alle urne come chi cammina nella notte. Forse mai come questa volta si è votato al buio: senza sapere “chi” si vota. Chi siano diventati, in questo lungo anno di apnea della politica, i nostri vecchi rappresentanti. Quali metamorfosi non dichiarate e indichiarabili abbiano subito. E senza sapere “che cosa” si vota: quale politica faranno una volta eletti (e se eletti). L’unico fatto certo è che ognuno agirà – inutile nascondercelo – in modo diverso da quanto annunciato in questa misera campagna elettorale.