Il vicepremier ad Arcore Le condizioni per l’intesa

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ROMA — Se sarà quello decisivo, è ancora da vedere. Ma l’incontro a cena, ieri sera ad Arcore, tra Silvio Berlusconi ed Angelino Alfano segna sicuramente l’intenzione del capo e dell’ex segretario di accordarsi sulla sorte del partito, e del governo — come entrambi vogliono e come il clima nelle ultime ore faceva pensare —, o di rompere, prendendo ciascuno la propria strada.
Il vicepremier, assicurano i suoi, al faccia a faccia è arrivato con le idee chiarissime e dopo un colloquio importante con il capo dello Stato, incentrato sulla legge di Stabilità e sulla assicurazione che, se verranno accolte alcune modifiche proposte dal Pdl per migliorarla, non ci sarà alcun problema per farla passare, anche se Berlusconi decidesse di staccare la spina perché i numeri della pattuglia di fedelissimi ai ministri sono più che sufficienti per tenere in vita il governo.
Ed è questo che Alfano, ancora ieri sera come negli ultimi incontri, ha ribadito al Cavaliere: «Noi in questa fase non possiamo far cadere il governo, questa è una condicio sine qua non se si vuole tenere assieme il partito, e io lo voglio esattamente come lo vuole lei, Presidente». Perché tutti, falchi e colombe, su un punto convergono: al Cavaliere l’idea di vedere frantumata la sua creatura già prima di nascere, e lo scontro quotidiano che offusca la sua immagine e quella del centrodestra, proprio non vanno giù.
Così nelle ultime ore, a quanto assicurano i governativi, l’ipotesi di un accordo sarebbe molto più vicina, praticamente a un passo. Berlusconi, anche nelle cene e nelle telefonate del weekend ad Arcore, a tutti ha detto che «bisogna farla finita con gli scontri, io voglio vedervi uniti, ho bisogno di un partito forte e compatto». E la tentazione di far saltare il banco sulla legge di Stabilità o sulla decadenza, sarebbe quasi accantonata: assicurano infatti le colombe che i ragionamenti loro, come degli amici e collaboratori di sempre Confalonieri e Gianni Letta, lo avrebbero convinto che non è vero — come sostengono i falchi — che da leader dell’opposizione o da un improbabile ricorso al voto anticipato lui stesso avrebbe qualcosa da guadagnare.
Così, sul tavolo ieri si è cercato di chiudere sull’ultima proposta di mediazione, quella che andrebbe benissimo alle colombe e che Berlusconi non disdegna, quella che metterebbe fine alla guerra ormai in corso da oltre un mese: per evitare una dolorosa conta al Consiglio nazionale che potrebbe tenersi alla fine della prossima settimana, e che inevitabilmente porterebbe a una spaccatura, ci si accorderebbe su un organigramma ai vertici di Forza Italia formato da Berlusconi presidente e da due coordinatori in rappresentanza dell’anima lealista e di quella degli innovatori. Un cambiamento di statuto sancirebbe i pari poteri dei due coordinatori nella compilazione delle liste, a garanzia dell’area governativa. E, non scritto ma assicurato, ci sarebbe il sì di Berlusconi alla prosecuzione del governo, magari con un prossimo rimpasto per «rafforzare» la compagine ministeriale con qualche fedelissimo. Sì, perché i nomi che girano per i due coordinatori sarebbero quelli di Lupi e di Fitto (ma tanti sono i nomi in ballo), e in questo caso si liberebbe un posto al governo per altri big: dalla Gelmini alla Carfagna allo stesso Brunetta, per quel «ruolo di spinta economica» che Berlusconi potrebbe a questo punto pretendere.
Insomma, sulla carta ogni casella potrebbe andare a posto, ma a ieri sera le resistenze dei lealisti erano ancora molto forti. L’idea che Berlusconi lasci di fatto metà partito nelle mani di Alfano e rinunci all’arma della possibile crisi di governo non va giù ai falchi e a tutti coloro che avevano tentato la battaglia per la conquista del partito, tagliando i ponti con i «traditori» Alfano e ministri. Ma nell’area dei duri e puri gli accenti sono diversi fra chi vorrebbe rompere ad ogni costo e chi vede possibile la ricucitura. Che per i governativi, come dice un ministro, «per come si erano messe le cose, è una vittoria per 5 a 0».
Paola Di Caro


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