Il sindaco fissa l’agenda: governo avanti fino al 2015 con un nuovo programma

by Sergio Segio | 24 Novembre 2013 9:16

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ROMA — Matteo Renzi, il candidato favorito alla segreteria del Pd, ieri sera stava limando il suo discorso di oggi, alla Convenzione del partito, che ufficializzerà i dati delle votazioni degli iscritti. «In quella sede — ha raccontato agli amici che hanno avuto modo di parlarci — lancerò la mia sfida. Spiegherò che cosa sarà il “mio” Pd». Innanzitutto «un partito forte, perché questo consentirà che finalmente anche nel nostro Paese le cose si facciano».
«E più forte sarà il Pd — è stata l’altra considerazione del sindaco di Firenze — più chance avrà il governo di arrivare fino al 2015 con una nuova agenda di priorità». La portata di queste due ultime affermazioni non è sfuggita agli interlocutori di Renzi. Il futuro leader ha lasciato intendere che la data di scadenza di questo governo difficilmente andrà più in là. E ha spiegato che l’agenda dell’esecutivo non può essere più quella fin qui seguita. Del resto, è inevitabile. Come spiegava l’altro giorno anche il renziano Antonio Funiciello: «Le forze politiche che hanno contratto in Parlamento il patto sul governo delle larghe intese non sono più le stesse. Il Pdl si è scisso e sorte analoga ha avuto Scelta civica. Sono nati nuovi partiti ed è probabile che Berlusconi non voti la legge di Stabilità. Non si può quindi fare finta di niente».
Già, al nuovo Pd che verrà non interessa il rimpasto («parola vecchia»), ma interessa che il governo fissi un nuovo programma. Anzi c’è addirittura chi ritiene che Letta, una volta approvata la legge di Stabilità, dovrebbe andare al Quirinale per tornare poi alle Camere e farsi approvare un nuovo programma. Ma Renzi non vuole correre tanto in là. Non oggi, comunque. Vuole solo fugare ogni dubbio sul fatto che il Pd d’ora in poi si farà sentire e indicherà i punti che intende inserire nel programma. Per la verità il sindaco coltiva un’ambizione in più. Non è sicuro di parlarne oggi, alla Convenzione che si terrà all’hotel Ergife di Roma, anche se vorrebbe farlo per dare un respiro più ampio al suo intervento e non limitarlo alle beghe interne, agli strascichi, che inevitabilmente ci saranno, del «caso Salerno». Grazie al congelamento di quel congresso provinciale la percentuale raggiunta dal sindaco tra gli iscritti dovrebbe scendere un po’. Renzi era al 46,7 per cento e dovrebbe calare al 45,5 — se non più giù — mentre Gianni Cuperlo guadagnerebbe poco più di un punto, attestandosi attorno al 39,5 per cento. In compenso, proprio ieri, Gianni Pittella ha dato ai suoi l’indicazione di votare per il primo cittadino del capoluogo toscano a patto che Renzi dia delle risposte alle esigenze da lui poste.
Dunque, per evitare che il dibattito si fossilizzi sulle diatribe interne (e ce ne sono ancora molte) Renzi cercherà di spiegare che d’ora in poi il compito del Pd dovrà essere quello di parlare all’Italia, un paese in difficolta: «Per colpa di una tecnocrazia ottusa e di una politica timida abbiamo perso posizioni. Il nostro sguardo, quindi, non è rivolto, come qualcuno sostiene alle politiche del 2014 o a quelle del 2015: noi pensiamo all’Italia dei prossimi dieci anni».
Già, il sindaco non ci sta ad essere dipinto, ogni volta che parla, per il pugnalatore di Romano Prodi. Non gli piace che Fassina sostenga per l’ennesima volta che «vuole fare cadere il governo». E spiega agli amici: «Anche il paragone tra l’elezione di Veltroni alla segreteria del Pd e la caduta di Prodi che fanno ora per me e Letta non regge proprio. Prodi al Senato aveva una maggioranza risicatissima, ed è per questo che è caduto, Enrico non si trova in questa posizione, quindi la smettessero di fare dietrologie ogni volta che dico qualcosa per spronare il governo a fare di più. La questione è diversa: io mi sono stufato della logica del rinvio e questo vale anche per la legge elettorale. Non ne posso più di tutti questi slittamenti. Dall’otto dicembre si cambia registro anche su questa materia».
Maria Teresa Meli

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