Il cielo nero sopra Pechino

by Sergio Segio | 6 Novembre 2013 9:01

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PECHINO. La Cina aggiunge un altro record alla prodigiosa serie dei primati bruciati negli ultimi trent’anni, ma questa volta nessuno inorgoglisce. Al contrario, i cinesi inorridiscono e per la prima volta, anche nelle metropoli-missile della crescita economica, si consolida l’opinione che se il prezzo della libertà di shopping è la vita, non ne vale la pena. La notizia, a sorpresa, è stata diffusa ieri in primo piano sia dalla Xinhua, l’agenzia ufficiale, che dalla Cctv, la tivù di Stato controllata dalla censura del partito comunista. Una bambina di 8 anni si è ammalata di cancro ai polmoni a causa dello smog e lotta per non morire nel reparto oncologico dell’ospedale di Nanchino. Il medico che tenta di salvarla, il dottor Jie Fengdong, si è mostrato sconvolto alle telecamere. «Per troppo tempo — ha detto — ha respirato polveri sottili e sostanze tossiche prodotte da automobili e industrie. Il tumore ha colpito un solo polmone, ma gli effetti sono impressionanti. Se non verranno adottate misure rapide per depurare l’aria, la medicina non potrà fermare una strage».

Secondo i dati dell’Accademia delle scienze di Pechino, si tratta dell’essere umano più giovane mai aggredito da un cancro all’apparato respiratorio. Fino ad oggi l’età media delle vittime di questo genere di morte delle cellule è di 70 anni. La bambina cinese si è scoperta improvvisamente vecchia per un errore fatale: la sua famiglia abita lungo una strada super-trafficata di una città industriale dello Jiangsu, la regione costiera subito a nord di Shanghai. Uscendo di casa per giocare e per andare a scuola, la piccola in pochi anni ha inalato una concentrazione di pm 2,5, le microparticelle emesse dai gas di scarico, troppo alta per essere tollerata.
La storia di questa tragedia sta colpendo l’intera popolazione e in poche ore il web, rigidamente controllato dal partito, è stato intasato da migliaia di reazioni di gente sotto shock. I cinesi temono che se il governo ha concesso la diffusione di una simile notizia, consapevole di far scattare l’allarme, è perché la realtà è assai peggiore di quanto i dati ufficiali non ammettano e nuovi leader hanno paura di essere travolti dall’esigenza popolare di una vita sostenibile. A spaventare è però anche la consapevolezza di essere ormai tutti sulla stessa barca: gli operai che lavorano nelle fabbriche senza depuratori, i contadini che coltivano terreni tossici, i residenti nei villaggi costretti a bere acqua inquinata e le centinaia di milioni di abitanti nelle metropoli, dove lo smog cancella il sole per mesi. Il 21 ottobre un altro record aveva scosso la nazione, facendo il giro del mondo: Harbin, capoluogo della Manciuria noto in passato per il lindore dei suoi ghiacci invernali, è stata la prima città della storia chiusa per eccesso di smog. Nel primo giorno di accensione dei riscaldamenti, le particelle di carbone rendevano invisibile perfino la porta di casa e gli automobilisti non riuscivano a vedere i semafori. Un anno fa l’agonia di Pechino era tale che le autorità, dopo che nei negozi risultavano esaurite garze per la bocca e maschere anti-gas, si spinsero fino a vietare di cuocere carne alla griglia per le strade.
Ieri, mentre il dramma della bambina di Nanchino si trasformava in problema politico anche per una super-potenza fondata sull’autoritarismo, il governo centrale è stato costretto a istituire «una squadra di scienziati» con una missione senza precedenti: studiare un sistema capace di evitare che le telecamere di sorveglianza attive ad ogni angolo del Paese vengano oscurate dall’inquinamento. Lo smog, da killer collettivo, per i nuovi leader rossi ormai può mutare in minaccia diretta alla sicurezza nazionale, favorendo un attacco terroristico.
«Se la visibilità scende sotto i tre metri — ha rivelato l’ingegner Kong Zilong, esperto di tecnologia della videosorveglianza — anche la più sofisticata delle telecamere a raggi infrarossi risulta inutile. Possiamo vedere nel buio e nella nebbia, ma lo smog è troppo solido, riflette le riprese e impone l’uso di un radar». L’attacco kamikaze del 28 ottobre in piazza Tienanmen, alla vigilia di un plenum decisivo del comitato centrale del partito, fa salire la tensione oltre il ragionevole.
Inconsuete isterie anche tra i vertici del potere confermano però che l’emergenza inquinamento, assieme a un livello di
corruzione che gli stessi funzionari definiscono «disperato», ha superato il limite che anche una popolazione rassegnata, a cui è vietato esprimersi liberamente, può sopportare prima di ribellarsi. In dieci anni a Pechino i decessi per tumore ai polmoni sono aumentati del 56% e un cancro su cinque è polmonare. La stessa patologia è pure la più diffusa in Asia, l’inquinamento cinese in due giorni raggiunge la vetta del monte Fuji, in Giappone e nelle metropoli della Cina, solo nel 2012, i morti da smog sono stati oltre 8.500. L’Organizzazione mondiale della sanità avverte che nel 2010 le vittime globali dell’inquinamento hanno superato quota 1,2 milioni e che il cancro ai polmoni uccide 223 mila persone all’anno. Cifre che ai cinesi non servono più, per consolarsi. Domenica l’edizione inglese del Quotidiano del popolo, rompendo un ventennale silenzio, ha raccontato che mentre il governo è impegnato nella «grande urbanizzazione», per creare una classe media di consumatori, milioni di neourbanizzati sono già in fuga dalle città. I giovani cinesi non vogliono far crescere l’unico figlio concesso dallo Stato in un ambiente che minaccia di ucciderlo. I colletti bianchi cominciano a temere davvero di morire prima di essere diventati ricchi e chiedono di essere trasferiti nei centri di seconda e terza fascia: «Ci saranno meno opportunità di carriera — ha detto al giornale il manager di una banca pubblica — ma almeno si può respirare in pace». In Cina simili dichiarazioni non sono ovvie, come in apparenza suonano in Occidente, e in queste ore sommano pericolosamente la lotta della bambina colpita di cancro ai polmoni ad un altro scandalo. Sulla Rete, nonostante una censura maniacale, cominciano ad apparire i nomi di milionari e alti dirigenti del partito che per fuggire dalla nuvola nera che avvolge il Paese si trasferiscono all’estero, o nelle regioni del Sud. Qualcuno sposta solo la famiglia, altri delocalizzano l’azienda, altri vendono tutto e se ne vanno, almeno nei più rischiosi mesi invernali. Inghilterra, Spagna, Nuova Zelanda, ma anche Indonesia, oppure Hainan, l’isola tropicale che Pechino cerca di trasformare nei “Caraibi dell’Oriente”. La nomenclatura cinese, asfissiata la nazione, gestirebbe i suoi affari da lontano, comprandosi un cielo azzurro, oltre che esportando i capitali accumulati prima di finire nel mirino dei clan vincitori dell’ultimo congresso del partito. L’esercito dei censori del governo non riesce più a cancellare tutti rumours
sui privilegi anti-smog delle autorità: dagli speciali depuratori in casa e ufficio agli alimenti biologici importati dall’estero, fino alle ville in montagna per disintossicarsi nei weekend. Psicosi che contagia anche la crescente comunità degli stranieri che, per fare soldi, lasciano Europa e Usa per scommettere sulla Cina. Il dato è del ministero degli Interni di Pechino: fino a due anni fa prevalevano i visti-famiglia, ora gli individuali, mentre coniugi e figli rientrano nelle nazioni di origine. Sabato, quando si aprirà il terzo plenum del partito, che si annuncia concentrato sulle non rinviabili riforme economiche, il cataclisma ambientale che sconvolge la Cina non figura nell’ordine del giorno. L’impatto sociale di smog e inquinamento, secondo la logica, potrebbe anzi disturbare i piani di «storica riconversione dalla produzione al consumo» fatti trapelare dai vertici. La logica però, quando le dosi di veleno nell’aria sono «40 volte superiori a quanto un essere umano può sopportare », non funziona più nemmeno dentro la Città Proibita. A salvare la Cina, e con lei il resto del mondo, potrebbero non essere i tecnocrati eredi di Mao, ma una bambina di 8 anni dello Jiangsu che aveva il vizio di respirare troppo quando usciva di casa. Ai primi, i cinesi non credono più: nella seconda, commossi per il suo sacrificio, da ieri confidano.

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