I tremila fantasmi della Giustizia

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Il dramma e la disperazione negli occhi di oltre tremila persone e delle loro famiglie.
Sono gli occhi dei precari della Giustizia che dal 30 novembre prossimo andranno a casa lasciando un vuoto significativo nell’organico degli Uffici giudiziari italiani. Il percorso iniziato con la scorsa legge di stabilità terminerà tra pochi giorni e a nulla sono valse le speranze e le pressioni, le manifestazioni e gli incontri. Dal 1 dicembre, infatti, alle 10 mila carenze di organico si aggiungeranno gli oltre 3 mila tirocinanti che, spesso, hanno sopperito a tali lacune, garantendo il mantenimento di standard minimi di efficienza.
Tutto messo nero su bianco da chi, queste risorse, non le vorrebbe perdere. Sono i presidenti degli Uffici giudiziari che hanno inviato, nei giorni scorsi, al ministero della giustizia, delle note con le quali hanno evidenziato l’indispensabilità del contributo fornito dai tirocinanti, invocando provvedimenti urgenti al fine di evitare che le attività di cancelleria risultassero compromesse. Lo hanno fatto il primo presidente della suprema Corte di Cassazione e il procuratore generale, e insieme a lui anche moltissimi presidenti delle corti di appello, dei tribunali e degli uffici dei Giudici di pace, senza dimenticare le richieste dei dirigenti amministrativi e dei procuratori.
Tutto ciò non è valso a nulla, però. Almeno fino ad ora. Già, perché in questi giorni sono stati respinti buona parte degli emendamenti alla legge stabilità presentati e discussi in commissione bilancio al senato che avrebbero consentito un prosieguo di attività ai 3100 precari che hanno svolto il completamento del percorso formativo direttamente con il ministero della Giustizia. Ben 22 senatori, di gran parte delle forze politiche, di maggioranza e opposizione, dal Pd al Pdl, da Sel al M5S, passando per Npsi, sottoscrivendo gli emendamenti hanno chiesto a gran voce che tali risorse, adeguatamente formate anche e soprattutto per la digitalizzazione con tirocini avviati dal 2010, potessero proseguire la loro attività, al servizio degli uffici giudiziari.
Inoltre, gli stessi, alla luce dell’investimento economico pari a 7,5 milioni di euro che lo Stato ha stanziato lo scorso anno per la loro formazione, avevano chiesto che tali professionalità fossero collocate negli uffici con un contratto a tempo determinato, stante la gravissima carenza di personale, la necessità di smaltire il consistente arretrato civile e penale per il quale l’Italia potrebbe subire sanzioni dall’Unione Europea, e l’imminente avvio del processo telematico. Tutte cause che avrebbero giustificato il ricorso, vista la grave eccezionalità ed in linea con il nuovo dettato normativa anti-precariato, a tale tipologia contrattuale. Così non è stato.
Accanto al danno sociale, con oltre 3 mila famiglie che dal 1 dicembre saranno sul lastrico, gli uffici giudiziari si vedranno costretti a vivere momenti di grande difficoltà. Con i mille pensionamenti all’anno (l’età media stimata del personale è di 55/57 anni) risulta praticamente vano il piano di mobilità che ha consentito di recuperare, ad oggi, appena 650 unità e il dato allarmante è che dalla soppressione e accorpamento dei tribunali molti uffici hanno dovuto accollarsi solo il lavoro e i fascicoli con gravi limitazioni dell’esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito e la legittima aspirazione ad una giustizia efficace ed efficiente.
«Non possiamo accettare questa ingiustizia – spiega il coordinatore nazionale, dell’Unione precari della Giustizia, Daniele De Angelis -. I segnali che arrivano non sono molto positivi e la gente è ormai disperata. Ci sono famiglie intere che non sanno come potranno vivere, mentre per qualche tirocinante più giovane si profila il dover lasciare l’Italia. Non possiamo accettare tutto questo. La politica, in tutte le sue componenti, deve dare delle risposte e deve farlo subito. I 3100 tirocinanti che hanno completato il percorso formativo con il ministero della giustizia e che si sono formati con le risorse pubbliche, sono pronti a scendere in piazza, a fare lo sciopero della fame e ad incatenarsi dinanzi alle istituzioni. Se servirà siamo disposti anche a compiere scelte plateali. Non vorremmo che il Governo ed i due rami del Parlamento, che oggi devono darci delle risposte, pensassero che siamo delle cavie da utilizzare e spremere e poi gettar via. Noi non glielo permetteremo».
Unione Precari della Giustizia


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