I ribelli: siamo 304. La mappa del potere nelle Regioni

by Sergio Segio | 17 Novembre 2013 7:36

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ROMA — «Trecentoquattro? Ma questi sono numeri da partito serio, no?». Nella notte tra venerdì e sabato, quando Angelino Alfano e i ministri scissionisti si concedono un piccolo brindisi nel ristorante «Grano», a pochi passi dall’albergo Santa Chiara dov’è appena stato annunciato il nuovo partito, il deputato siciliano Dore Misuraca arriva coi foglietti che contengono la cifra esatta dei «fondatori» del Nuovo centrodestra. Ha tenuto i conti al millesimo, Misuraca, da sempre vicino sia al vicepremier che a Renato Schifani. E il conto finale dei membri del Consiglio nazionale dell’ex Pdl che si dichiarano pronti ad aderire alla nuova «creatura» governista fa «304».
Sono 31 senatori, che avranno come capogruppo provvisorio Laura Bianconi. E 28 deputati, che saranno guidati dal piemontese Enrico Costa. E poi ci sono ovviamente i cinque ministri del governo, un governatore (il calabrese Giuseppe Scopelliti), 12 assessori regionali, 75 consiglieri regionali, 7 presidenti di provincia, 4 sindaci di comuni capoluogo (c’è il sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani, tanto per dirne una), 9 parlamentari europei in carica (tra cui il piemontese Bonsignore, il siciliano La Via, la campana Mazzone, i laziali Angelilli, Antoniozzi e Pallone). E ancora, 51 tra capigruppo e vicecapigruppo nei consigli provinciali, 5 coordinatori regionali dell’ex Pdl, 17 coordinatori provinciali, 22 segretari cittadini e persino tre dirigenti nazionali del giovanile. L’unica voce affiancata al numero «zero» è quella relativa componenti dell’ufficio di presidenza del fu Pdl, che stanno tutti insieme ai lealisti. Per il resto, tutta gente che — sulla carta — è stata sottratta alla nuova Forza Italia. C’è anche una distribuzione regione per regione. Il Nuovo centrodestra cancella i berlusconiani doc dalla cartina geografica della Calabria, è nettamente più forte dei «cugini» in Sicilia, va benissimo in Lombardia e Piemonte, Emilia Romagna e Veneto, Piemonte e Abruzzo.
«Volendo, avremmo potuto impedire che Forza Italia rinascesse», mormora qualcuno citando il numero delle firme raccolte, sufficiente a tenere il testo approvato dal consiglio nazionale forzista al di sotto del quorum dei due terzi. Ma è solo una battuta. L’attenzione, adesso, è concentrata sui numeri in Parlamento. Che hanno oscillato fino all’ultimo istante, anche venerdì. E che dall’inizio della prossima settimana potrebbero cambiare ancora.
Sono almeno tre i «mister X» dal volto ancora coperto che, alla Camera, potrebbero abbandonare Forza Italia per la creatura alfaniana. E che andrebbero a compensare l’uscita di scena dell’ultim’ora di chi, come la sottosegretaria calabrese Jole Santelli o il senatore siciliano Francesco Scoma, ha deciso in extremis di abbandonare la nave del vicepremier per aderire a Forza Italia.
Ma l’aspetto più interessante della partita, e anche del risiko incrociato che coinvolge sia forzisti che neocentrodestri, riguarda Palazzo Madama. Renato Schifani, che si è dimesso da capogruppo del Pdl prima del consiglio nazionale, è ormai arruolato con i secondi. Berlusconi sta pensando di sostituirlo con uno tra Annamaria Bernini e Paolo Romani. Nessuno dei due, tra l’altro, è catalogato tra i falchi. Segno che, almeno fino al voto decadenza, i due gruppi non si guarderanno in cagnesco. E l’ex presidente del Senato? E’ improbabile che faccia il capogruppo della nuova forza politica ma nel caso di un eventuale rimpasto il suo nome potrebbe essere in prima fila per entrare nell’esecutivo.
Già, il rimpasto. È sulla composizione della squadra di governo che si avvierà, da lunedì, un nuovo giro di valzer. Nella roccaforte del Nuovo Centrodestra ci stanno già facendo i conti se è vero che Paolo Naccarato, tra i fondatori del partito del vicepremier, allarga lo spettro: «Mica ci sono soltanto i ministri. I sottosegretari che hanno aderito a Forza Italia, tipo la Santelli o Micciché, usciranno o no dall’esecutivo? E i presidenti di commissione come Daniele Capezzone o Nitto Palma, che pure sono arrivati dove sono grazie ai voti dell’odiato Pd, che faranno la settimana prossima? Rimarranno in carica oppure no?».
Ma oltre agli assetti, c’è anche una partita che rimanda all’esterno. Uno dei primi a manifestare il suo sostegno sottotraccia ad Alfano per la nascita del nuovo partito è stato Roberto Maroni. Anche perché, come dice Naccarato, «questo è il momento storico in cui il centrodestra finisce di avere un capo unico e comincerà a caratterizzarsi come una coalizione in cui la leadership è contendibile. E questo», aggiunge il senatore, «è un discorso che non può che interessare anche la Lega». Tra coloro che guardano senza ostilità alla nascita del nuovo partito, nascosto come al solito dietro le quinte, c’è anche Gianni Letta. L’Eminenza grigia dell’ultimo ventennio berlusconiano, giorni fa, ha confidato a più d’un membro del governo la sua delusione per come i falchi sono riusciti a ottenere il controllo della cabina di regia del berlusconismo. L’ex sottosegretario comunque conferma «amicizia eterna» al Cavaliere.
Tommaso Labate

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