“I privati nei colossi di Stato” Oggi il Plenum del Partito vara l’ultima rivoluzione cinese
PECHINO — Apertura dei colossi di Stato ai capitali privati, burocrazia più snella, nuovo fisco, licenza di vendere la terra coltivata, equiparazione del welfare tra cittadini e residenti nei villaggi, lotta alla corruzione e allo smog che stanno uccidendo partito e Paese. Sembra non avere fine l’elenco delle «storiche riforme» che i media di Stato assicurano verranno annunciate oggi dai leader cinesi nominati un anno fa.
Mai la fine di un plenum del Partito comunista cinese è stata caricata di tante attese e la stessa propaganda, che da giorni paragona il vertice aperto sabato a quelli epocali del 1978 e del 1993, si è chiesta infine se la lista comprenda «più auspici o più scongiuri».
Oggi si comincerà a cercare di capire, ma su un fatto tutti concordano: la seconda economia del mondo, per non smettere di crescere e per restare socialmente stabile, ha bisogno di riforme urgenti e se il presidente Xi Jinping non dimostrerà
di avere avuto la forza di imporle ai conservatori, la sua stagione potrebbe dirsi già, prematuramente e pericolosamente, chiusa.
Ipotesi, nell’immediato, accademica. Alti funzionari del partito, nelle ultime ore, hanno confermato che Pechino annuncerà «importanti novità» in campo economico e finanziario, lanciando la «grande stagione delle privatizzazioni» e spingendo la Cina verso «un mercato finanziario maturo e la piena convertibilità monetaria ». Cautela ben maggiore viene usata invece per i cambiamenti politici, su cui nei mesi scorsi gli stessi leader rossi si erano sbilanciati. Nel corso del vertice del partito, in un blindato hotel della capitale, i 376 uomini che invisibilmente comandano la nazione avrebbero concordato di scongiurare il rischio di fare la fine dell’Urss, che «implose nel nome della democratizzazione imposta dall’Occidente».
Dunque via libera al “modello Singapore”, come già deciso dai 25 membri del Politburo: riforme economiche e sociali «graduali e solo se compatibili con la stabilità politica», ossia con il pieno potere del regime autoritario stabilito da Mao Zedong.
Una via stretta, liberare il mercato senza sottrarlo allo Stato, tanto più in un clima di sorprendente tensione: due attentati in due settimane, forti malumori tra militari e nostalgici sostenitori del condannato leader maoista Bo Xilai, che pur all’ergastolo si sarebbe visto proporre la “presidenza a vita” di un nuovo partito, denunce di censura e pressioni su Stati e media stranieri come
Bloomberg, volte a silenziare scandali che potrebbero travolgere il partito, ma pure frenata della crescita, esasperazione popolare senza precedenti contro divario tra ricchi e poveri, corruzione e un inquinamento che ormai è più di un’emergenza nazionale.
Ma è proprio la carenza di alternative a rafforzare il dichiarato riformismo economico di Xi Jinping, che in quattro giorni ha spiegato ai vertici comunisti che «nell’interesse interno e globale la Cina non può restare vittima della sindrome del Giappone», potenza che smise di crescere perché ritardò ad aggiornare il proprio modello di sviluppo, e che «è l’ora di fare un passo avanti pur senza perdere l’equilibrio».
Le studiate indiscrezioni inviate ai media assicurano dunque che il terzo Plenum, da tradizione, annuncerà oggi l’approvazione di una «epocale riforma del profilo economico cinese», garantendo al mondo «il sostegno alla crescita anche nel prossimo decennio». Tra le misure più attese, la possibilità degli investitori privati, anche stranieri, di acquisire quote fino al 10-15% delle 112 megaaziende di Stato, colossi mondiali, monopoliste in settori come credito, assicurazioni, trasporti, energia e telecomunicazioni. Davvero una rivoluzione, promossa per rendere la Cina meno dipendente da export e low cost, e più fondata sull’espansione di consumi interni e servizi. Più «graduali» invece le riforme dell’“hukou”, il sistema di registrazione familiare che vincola ogni cinese a vivere in un determinato posto, e della proprietà dei terreni, osteggiate da iper-indebitate amministrazioni locali.
Vincerà l’americano “sogno cinese” di Xi Jinping o la nostalgia maoista della sinistra interna, appoggiata dai due ex presidenti Jiang Zemin e Hu Jintao? La partita non finirà oggi, ma per una volta anche il risultato del primo tempo è decisivo.
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