I nuovi equilibri lungo l’asse del Nord

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MILANO — Mezzo gruppo consiliare in Lombardia, idem in Veneto, e anche in Piemonte si segnalano esodi in corso. Le truppe di Angelino Alfano, siciliano di Agrigento, stanno sfondando nel Nord a guida leghista. Il Nuovo centrodestra cattura consiglieri, assessori, capibastone.
Eppure la macroregione voluta da Maroni, con tre presidenti del Carroccio alla guida delle più importanti amministrazioni, non trema. E anzi assiste con una certa curiosità allo spacchettamento del Pdl. «Per la Lega si apre una fase nuova. Una fase in cui potremo essere più incisivi», è il pensiero di Roberto Maroni. Aveva previsto tutto, il segretario leghista. Le divergenze in casa Pdl, le liti, i falchi e le colombe, e poi la separazione. Una separazione consensuale e civile, che al leader della Lega non dispiace affatto. «Berlusconi — è la sua convinzione — bene ha fatto a non rompere brutalmente con Angelino». Alcuni temi degli «scissionisti» poi sono da sempre cari ai leghisti. Le primarie per scegliere il leader che verrà del centrodestra, per esempio. Troppo poco però per una scelta esplicita, a favore dell’uno o dell’altro partito. Berlusconiani e alfaniani devono rimanere alleati nel centrodestra che verrà. E la Lega dovrà governare con entrambe le formazioni visto che la macroregione del Nord, il monocolore leghista che va dal Piemonte al Veneto, potrà vivere solo grazie al doppio sostegno di falchi e colombe. Roberto Cota sintetizza così il pensiero del perfetto amministratore leghista: «Bene Berlusconi quando dice che bisogna fare una coalizione con loro; e bene Alfano quando dice che bisogna fare le primarie. La Lega a queste due proposte è interessata».
In Lombardia sono 9 su 19 i consiglieri dell’ormai ex Pdl pronti a traslocare in casa Alfano. La componente ciellina, eredità di Formigoni, è ancora assai influente e guiderà il divorzio dai «lealisti» chiedendo a Maroni di contare di più in giunta. Anche in Piemonte il Nuovo centrodestra fa proseliti. Aderiranno subito almeno tre consiglieri e un paio d’assessori, sotto la benedizione di un potente acchiappavoti come l’europarlamentare Vito Bonsignore. In Veneto hanno detto di no a Forza Italia il presidente del consiglio e il numero due di Zaia, Marino Zorzato. «Almeno la metà dei 17 consiglieri del gruppo sta con noi», assicurano gli alfaniani che promettono, in Veneto come nelle altre due Regioni, «piena » lealtà ai governatori maroniani. A sentire Roberto Formigoni, però, qualche grattacapo è lecito metterlo in conto. «Il dato sui consiglieri del Nord è clamoroso», dice l’ex governatore lombardo. «È il segno che dove gli eletti sono scelti attraverso le preferenze, come nelle Regioni, noi siamo più radicati sul territorio. No, le giunte leghiste non hanno da temere per la loro stabilità. Com’è naturale, però, si pone un problema di redistribuzione degli incarichi. Vogliamo portare un contributo di efficacia al governo delle Regioni. Anche perché non sempre i risultati di queste amministrazioni sono stati pari alle attese». Rimpasti di giunte in arrivo per accontentare i «diversamente berlusconiani»? Per quanto riguarda la Regione capofila, Maroni ha già fatto sapere che fino a marzo non si muoverà foglia. «Il tagliando era già in preventivo alla scadenza del primo anno di mandato. Rispetteremo quel termine».
Il luogotenente di Maroni, Matteo Salvini (l’uomo destinato a succedergli alla guida del Carroccio) è meno conciliante: «Vediamo come si comporteranno nelle Regioni del Nord che governiamo insieme. So però che sia i berlusconiani che gli alfaniani da due anni sostengono i governi più imbarazzanti della Repubblica». Come spesso accade il commento più velenoso sul tema arriva dal padre fondatore. «Alfano e Maroni? Diciamo che chi si somiglia si piglia…», ha sibilato qualche giorno fa dal palco di un comizio Umberto Bossi.
Andrea Senesi


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