I giudici di Madrid e l’ordine di arresto per gli ex Lleader cinesi

by Sergio Segio | 20 Novembre 2013 8:56

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Tre giudici dell’alta corte spagnola (per la cronaca sono due donne e un uomo: Angela Murillo, Carmen Paloma Gonzalez e Juan Francisco Martel) hanno emesso un ordine d’arresto per l’ex presidente cinese Jiang Zemin (in carica tra il 1989 e il 2002), l’ex premier Li Peng, e altri tre membri dell’allora cupola del Partito Comunista cinese. Ai cinque anziani mandarini potrebbe succedere ora quel che accadde all’ex dittatore cileno Augusto Pinochet, arrestato a Londra su mandato dell’ex giudice star Baltasar Garzon, anche lui spagnolo. Dovessero andare in un Paese che riconosce l’estradizione con la Spagna, i 5 dignitari cinesi dovrebbero essere arrestati. Che poi finiscano davvero sotto processo è tutto da verificare. All’epoca, Pinochet venne trattenuto a Londra per 14 mesi, ma alla fine prevalse la real politik e venne lasciato libero di tornare a casa. Per il sogno di una giustizia universale fu un’umiliazione. Ora i tre giudici spagnoli ci riprovano con un bersaglio ancora più grosso: la persecuzione di Pechino nei confronti dei tibetani. Solo nominare la parola Tibet nei vertici internazionali, nelle riunioni diplomatiche o economiche scatena la reazione stizzita di Pechino. Alla sua legge di non interferenza si sono inchinati tutti, da Washington alla Cnn , da Google all’Unione europea. I tre magistrati spagnoli, però, non si sono autocensurati. «Esistono indizi della partecipazione» dei 5 imputati al genocidio tibetano, hanno scritto. Il 10 ottobre la stessa sezione della Audiencia Nacional aveva incriminato anche l’ex presidente Hu Jintao (2002-2012) per il suo ruolo nei 4 anni passati da segretario del Pcc sull’altopiano. Tra le campagne cinesi sospette di genocidio si citano le sterilizzazioni e gli spostamenti forzosi, la legge marziale, la tortura dei dissidenti e il popolamento del Tibet con colonie di cittadini cinesi di etnia han. Come per Pinochet, la giustizia spagnola si è mossa sulla base di denunce di propri cittadini, in questo caso di origine tibetana. E a causa dell’assenza di «indagini ufficiali cinesi sui fatti contestati nelle denuncie».
Tanto rumore per nulla? Probabile. I magistrati ammettono che la loro «capacità di indagine in territorio cinese è residuale» quindi anche un eventuale processo rischierebbe di non avere sufficienti prove. I ricercati devono fare attenzione ai loro viaggi, ma difficilmente la loro politica verrà indagata a 8 mila chilometri di distanza.

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