by Sergio Segio | 7 Novembre 2013 7:26
ROMA — L’ennesima anticipazione del libro di Bruno Vespa che distilla le parole di Silvio Berlusconi («I miei figli sono come gli ebrei sotto Hitler») scatena un pandemonio politico al quale lo stesso Cavaliere è costretto a porre rimedio in serata denunciando una «polemica strumentale» ai suoi danni, respingendo sdegnato l’accusa di essere un antisemita e dichiarando invece la sua profonda amicizia verso Israele. Tutto nasce quando, in mattinata, vengono diffuse alcune frasi dell’ex premier, una risposta da lui data all’anchorman che gli ha chiesto se è vero che i figli gli avrebbero chiesto di vendere tutto e di lasciare il Paese. «I miei figli — afferma Berlusconi — dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo tutti addosso».
Tuttavia, nonostante l’amarezza che dice di provare per quanto è stato costretto a subire per quella che chiama «una persecuzione giudiziaria» («il mio primo sentimento è stato di non volerci credere, che fosse impossibile che capitasse a me tutto questo, sono stato assalito da una profonda indignazione che da allora non mi ha lasciato mai»), Berlusconi dichiara convinto che non abbandonerà il Paese. «Sono italiano al 100 per cento — scandisce — , in Italia ho le mie radici. In Italia sono diventato quello che sono. Ho fatto qui l’imprenditore, l’uomo di sport, il leader politico. Questo è il mio Paese, il Paese che amo, il Paese in cui ho tutto: la mia famiglia, i miei amici, le aziende, la mia casa, e dove ho avuto successo come studente, come imprenditore, come uomo di sport e come uomo di Stato. Non prendo neppure in considerazione la possibilità di lasciare l’Italia».
Questa dichiarazione d’amore verso il Paese, che riecheggia il discorso della sua discesa in campo del gennaio 1994, non suscita particolari reazioni. Ciò che invece scatena una tempesta politica è il paragone tra la condizione degli ebrei sotto il nazismo e quella alla quale sono costretti i suoi cinque figli. Un paragone contro cui si scagliano non soltanto i rappresentanti della comunità ebraica, ma anche esponenti della sinistra. In sua difesa si schierano i maggiorenti del Pdl che tentano di circoscrivere gli effetti di quelle parole. Per Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, «ogni paragone con le vicende della famiglia Berlusconi è non soltanto inappropriato e incomprensibile ma anche offensivo della memoria di chi fu privato di ogni diritto e, dopo atroci e indicibile sofferenze, della vita stessa». L’Italia repubblicana, puntualizza Gattegna, «è un Paese democratico, la Germania nazista era una spietata dittatura governata da criminali che terrorizzavano e commettevano i più gravi delitti contro l’umanità». Aggiunge Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma: «Non credo che Berlusconi debba delle scuse agli ebrei, ma semmai a se stesso». Pacifici si dichiara «basito» perché, spiega, «è un paragone che pur considerando il clima, su cui non entro nel merito, dal punto di vista storico è alquanto fuori luogo. Il clima in cui si viveva sotto il periodo nazista era un clima di persecuzione di stampo razzista, in cui l’unica soluzione era quella di uscire come cenere dai camini di Auschwitz. Pertanto confidiamo in una sua pronta rettifica».
Alle loro critiche si aggiungono quelle del capogruppo del Pd a Montecitorio, Roberto Speranza («Il confronto è vergognoso») e di Nichi Vendola: «È agghiacciante banalizzare una terribile tragedia come la Shoah per la polemica di tutti i giorni». Dal Pdl replicano Renato Brunetta e Renato Schifani. Per Brunetta il Cavaliere è sempre stato «il leader europeo più deciso a combattere l’antisemitismo e a mettersi dalla parte di Israele». Schifani invita a «interpretare le frasi di Berlusconi cum grano salis ». Ma non basta. Alla fine sarà Berlusconi a chiarire il senso delle sue parole. «È una polemica smaccatamente strumentale su una frase estrapolata da un ampio contesto», rimarca, citando la sua «amicizia verso Israele», la «coerente azione di governo in favore di Israele», fatti che «non consentono alcun dubbio sulla mia consapevolezza della tragedia dell’Olocausto e sul mio rispetto del popolo ebraico».
Lorenzo Fuccaro
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