Giro di vite sulle municipalizzate via i manager con i bilanci in rosso

by Sergio Segio | 24 Novembre 2013 9:19

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ROMA — Chi sbaglia paga: in una qualsiasi azienda se il bilancio non va, il vertice salta. E’ una regola dell’economia che vale nel privato, ma non nel pubblico, dove cacciare un manager è molto difficile e trovare il responsabile del «buco» addirittura impossibile. Ora un emendamento presentato dal governo alla combattuta Legge di stabilità (ma il premier Letta prevede che «i conti si fanno alla fine e alla fine si vedrà che il testo sarà equilibrato»), dovrebbe cambiare le cose e rendere più trasparente e responsabile la gestione delle aziende partecipate dalle amministrazioni locali.
Nel mirino delle nuove norme proposte dal ministero dell’Economia e condivise dalla Funzione Pubblica ci sono soprattutto i manager delle società partecipate da Comuni, Regioni o Province. Le municipalizzate, per esempio, o la miriade di aziende speciali che spesso chiudono in rosso e mettono in crisi i bilanci delle città: con le modifiche volute dal governo, dal 2015, dopo due anni di buco, il manager rischia il licenziamento (a meno che la perdita non sia legata ad un piano di risanamento approvato dall’ente stesso). L’emendamento all’articolo 15 prevede infatti che «il conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi rappresenti giusta causa ai fini della revoca degli amministratori». Non solo: dopo tre anni di rosso scatta anche un taglio automatico del 30 per cento al compenso dei componenti degli organi d’amministrazione (ma solo per le società partecipate che forniscono agli enti locali l’80 per cento delle loro attività). Norme queste che dovrebbero avere un impatto molto forte se si pensa che nel solo settore del trasporti locali, quest’anno, oltre il 50 per cento delle società chiuderà in rosso.
Ma vertici a parte, sarà la stessa amministrazione che controlla l’azienda ad entrare in campo in caso di perdita. L’emendamento prevede infatti che se il bilancio è negativo il Comune, la Regione o la Provincia dovranno accantonare in bilancio una quota dello stesso ammontare. E che quel «tesoretto» messo da parte potrà essere riutilizzato dagli enti solo nel momento in cui la perdita sarà stata ripianata, se l’ente avrà rinunciato alla partecipazione in quella azienda o se l’azienda stessa sarà stata messa in liquidazione. Con queste novità, spiega il governo nella relazione tecnica, si spera che «la gestione delle partecipazioni da parte degli enti locali diventi maggiormente prudente».
Una tirata d’orecchie che, per altri aspetti, condivide e rincara anche la Cgia di Mestre: la pubblica amministrazione, assicura,
ha «cancellato» i debiti nei confronti delle imprese. Il segretario Bortolussi denuncia: «Pur essendo passati più di due mesi dalla scadenza prevista dalla legge, apprendiamo che solo il 61 per cento delle amministrazioni pubbliche ha comunicato al ministro l’ammontare del debito contratto con le imprese». La somma dei debiti riconosciuti è di 3,1 miliardi: «Cifra irrisoria, lontana anni luce dai 91 miliardi indicati da Bankitalia o dai 120 da noi stimati».

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