Genova ferma insieme ai bus Cortei e proteste degli autisti

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GENOVA — È tutto a pochi metri, il Caffè dorato dove Beppe Grillo ha arringato in mattinata i tramvieri, la Regione, il Comune e, davanti al caffè Mangini, la Prefettura dove si consumano le ultime ore della giornata più lunga di una Genova appiedata: si tratta a oltranza per trovare lo sbocco a una situazione insostenibile. Per scongiurare il quinto giorno di sciopero selvaggio, già dichiarato. Uno spiraglio si potrebbe aprire oggi pomeriggio con la ripresa della trattativa. La giornata è iniziata con i tramvieri ospiti dei portuali, è continuata con i cortei che bloccavano il traffico già in tilt, è finita con il sindaco Doria, il presidente della Regione Burlando, l’azienda e i sindacati riuniti dal Prefetto mentre i tramvieri fuori urlavano nella notte: «Non si esce». Ancora bus in rimessa e autisti in strada. «Questa è una battaglia all’ultimo sangue, noi vogliamo il trasporto, l’acqua, il gas, la luce pubblici, loro vogliono svendere tutto, anche quello che non gli appartiene» ha detto Beppe Grillo piombato tra i tramvieri sfilandosi il casco da motociclista.
Intanto il sindaco Marco Doria cercava a Palazzo Tursi di raddrizzare la comunicazione con la città. «Non ho mai detto di voler svendere ai privati — spiega il sindaco, accusato di aver tradito i suoi elettori di sinistra — sono coerente con le mie idee, credo che si debbano salvare i beni pubblici». Cinque giorni di sciopero per un equivoco? Dai messaggi nebulosi lanciati da mesi dal Comune alla fine i tramvieri hanno capito tre cose: il Comune non avrebbe ricapitalizzato l’azienda sull’orlo del fallimento, si apriva la possibilità di cedere una quota a privati, infine i tramvieri avrebbero dovuto tagliarsi ancora una volta gli stipendi e le ferie. E hanno detto tre no.
«La nostra è la battaglia di tutti ed è una questione nazionale, difendiamo un servizio che è un diritto, il trasporto pubblico locale sta andando a rotoli in tutta Italia» hanno rilanciato i sindacati e hanno trovato sponda nei tramvieri arrivati da Roma e nella solidarietà di quelli di Livorno. Sventolando buste paga da 1.500 euro al mese gli autisti hanno detto che loro agli straordinari non pagati, all’orario di lavoro allungato, alle ferie tagliate per sostenere i conti in rosso di Amt — cose che hanno accettato di fare a maggio — non sono più disponibili.
Mentre anche da Roma il ministro conveniva che la questione del deficit delle aziende di trasporto urbane è un’emergenza nazionale e convocava una riunione, alle sette di sera ha varcato il portone socchiuso della Prefettura un uomo con la valigetta. Un funzionario della Filse, la finanziaria regionale. Il governatore Burlando ha messo sul tavolo il reperimento di fondi europei per finanziare l’acquisto di 200 mezzi nuovi, mentre Doria ha raschiato dal fondo del barile 4,3 milioni. Mancano ancora 4 milioni: «Dobbiamo trovarli nell’organizzazione del lavoro» ha annunciato un sindacalista della Cgil. «Neanche una lira del nostro stipendio, neanche un minuto del nostro orario di lavoro» gli hanno gridato dalla piazza.
La trattativa è continuata nella notte. Genova è paziente ma cinque giorni di sciopero sono veramente troppi e la Procura ha aperto un fascicolo per interruzione di servizio pubblico, mentre è rientrato lo sciopero dell’azienda dei rifiuti, che resta in agitazione. A pagarla salata non sarebbero solo i tramvieri (già sanzionati dal prefetto con multe da 500 euro al giorno), ma tutta la politica. «I partiti? Siamo stufi» dicono i tramvieri e vanno in delegazione poco convinta da Bersani, in città per sostenere Cuperlo. «A Genova si è accesa una miccia che può esplodere — dice Bersani —. E non è vero che sono il papà delle privatizzazioni, io sono il papà delle liberalizzazioni che sono tutt’altra cosa. Di liberalizzare in un mercato regolato ce lo dice il dottore, di privatizzare no». Chiude la giornata la voce del cardinale Angelo Bagnasco, che richiama tutti alla difesa del lavoro perché «senza lavoro non c’è dignità» .
Erika Dellacasa


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