Dal perfetto inglese agli insulti: la fine di Scelta civica

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ROMA — Cosa accade dalle parti di Scelta civica, il partito creato da Mario Monti alla fine dello scorso anno? Arrivò in certe previsioni al 20 per cento, prese intorno al 9, negli ultimi sondaggi è al 4.
Dopo la baruffa di venerdì all’assemblea nazionale, chi è rimasto con Monti (da qui, solo per facilità, «montiani») conta su una trentina di deputati e 8 senatori. Nessuno più di loro è al governo, perché il ministro della Difesa Mauro è a capo dei «popolari» che si sono ribellati e il sottosegretario D’Alia è membro dell’alleato rinnegato Udc. Resterebbe il ministro Moavero, ma si occupa quasi esclusivamente di Affari europei. Monti ora dice che la divisione di Scelta civica «non indebolirà la coalizione di governo». Aggiunge: «Credo». Linda Lanzillotta chiede invece «le riforme» e vuole che «la voce di Scelta civica sia presente in Consiglio dei ministri». Rimpasto, insomma. Stefania Giannini dice che se la scissione diventerà effettiva «dovrà essere rivista la nostra rappresentanza nel governo: se un ministro rappresenta un’altra forza politica, dovremo occuparcene». Giannini, docente di Glottologia e linguistica, è da ieri il segretario politico di Scelta civica, con Bombassei presidente, Balduzzi e Borletti vicecepresidenti. Nuovi marosi in vista per Enrico Letta.
Pienamente solidali con il governo sono i «popolari», che venerdì hanno lasciato la sala urlando. I «popolari» (d’ora in poi così, per semplificare) sono 12 al Senato e 20 alla Camera con l’Udc. L’ipotesi è che vadano a congiungersi in nozze politiche con l’Udc, appunto, e con la nuova formazione di Alfano, ex Pdl. Interrogato, il leader Udc, Casini, ha risposto, naturalmente: «Si vedrà…». E ha rilanciato, come fa da molti anni, una nuova «casa dei moderati» (appuntamento il 23 novembre). Lorenzo Dellai, capogruppo di Scelta civica alla Camera (ancora per poco) ha preannunciato una formazione «concorrente con la sinistra, alternativa alla destra».
Il giorno dopo la separazione, accuse reciproche. Monti dice che «i popolari guardano a Casini e soprattutto a quanto sta avvenendo all’interno del Pdl: vi intravedono opportunità elettorali». Della Vedova sostiene che i popolari venerdì erano venuti per andarsene: «Non si sono nemmeno levati il cappotto…». Il deputato Andrea Vecchio, imprenditore catanese, dice che quelli andati via sono «politici politicanti». Ecco l’accusa bruciante: chi resta con Monti è «società civile», gli altri «occupatori di poltrone». Basti pensare, continua, «al decreto di torbido clientelismo del sottosegretario D’Alia sui precari della Pubblica amministrazione…».
I «popolari» rispondono. Gregorio Gitti venerdì ha dato il via all’uscita dall’aula: «Non avevano la maggioranza, volevano introdurre una norma che prevedeva le deleghe». Gitti è intervenuto: «Così non si può! È un vulnus alla democrazia!». «Tiratelo giù a calci!», ha gridato un montiano non identificato. Gitti ieri assicurava: «Volevano il colpo di mano. Ma non c’è stata nessuna inciviltà, solo vivacità». E il senatore Di Biagio: «Monti è stato utile al Paese, ma ormai è il vecchio che avanza». Il coordinatore di Scelta civica per l’Emilia, Giuliano Cazzola: «Pensavamo di essere i migliori, ci siamo divisi su un regolamento come i condomini di un palazzotto del Tufello».
Finisce così con un salto di qualità (in basso) delle parole il movimento creato da Monti, premier che parlava un perfetto inglese e incontrava da pari a pari Merkel e Obama, con un ministro, Fornero, che diceva choosy per chiamare i giovani «schizzinosi». Venerdì c’è stato anche un «vaffa», che non è stato possibile attribuire.
Il deputato Mario Marazziti è addolorato per quel che succede e sintetizza così: «Lo scontro è fra partito-yacht e nave vasta e inclusiva, fra club e movimento di popolo e società». Scelta civica «non è un club del golf», ha attaccato Mario Mauro. E ha aggiunto: «Monti è sempre il benvenuto nella grande famiglia popolare».
Vestito casual , però.
Andrea Garibaldi


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