Da Prodi a Chiamparino, per le primarie si fa largo il partito del non voto

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ROMA — Prima Romano Prodi. Poi Susanna Camusso. Poi ancora Sergio Chiamparino. Personalità di peso, che potrebbero però rappresentare solo la punta dell’iceberg. Perché il partito di chi si asterrà alle primarie, rinunciando ad andare a votare fra i tre candidati del Partito democratico, sembra ingrossarsi. Disaffezione, disillusione, scoramento. Effetto combinato prodotto dallo scandalo delle tessere, dalla mutazione genetica del Pd ulivista, ma anche da risentimenti e giochi tattici legati all’affluenza.
L’annuncio di Prodi sul suo disimpegno è caduto sulla campagna come un macigno. Il timore di un flop nell’affluenza preoccupa soprattutto i renziani, che sarebbero favoriti da una grande partecipazione. E se i prodiani in Parlamento si sono affrettati a dire che voteranno, sia pure in direzioni diverse (Sandra Zampa per Civati, Sandro Gozi e Arturo Parisi per Renzi), i vecchi collaboratori del Professore diserteranno le urne delle primarie. È il caso di Mario Barbi. Curiosa presa di posizione per uno dei tre organizzatori (insieme a Nicodemo Oliverio e Maurizio Migliavacca) delle primarie del 2005, che incoronarono Prodi: «Effettivamente non è una decisione presa a cuor leggero, le primarie restano uno strumento straordinariamente valido». Perché non votare allora? «Perché ho trovato la reazione del gruppo dirigente alla sconfitta elettorale imperdonabile. Si è chiesto in ginocchio al presidente Napolitano di restare, ben sapendo che sarebbe arrivato un governo di larghe intese. E invece di sostenere questo esecutivo, si è fatto finta di non essere coinvolti, con atteggiamento ipocrita e schizofrenico». Neanche i quattro candidati appassionano: «Sono tre socialisti, compreso il movimentista Civati, e un punto interrogativo, Renzi. Quest’ultimo lo seguo con interesse, ma ha mostrato una disinvoltura tattica eccessiva e non dimostra di avere la consapevolezza adeguata alla profondità dei problemi».
Un altro prodiano chiave uscito di scena è Silvio Sircana, già portavoce: «Da tempo ho deciso di non votare. Non mi sono consultato con Romano, saranno affinità elettive. Comunque sono rimasto scioccato da come sono state organizzate nel dicembre 2012 le primarie dei parlamentari. Con un’operazione demagogica e molto mal organizzata, se non vogliamo pensare peggio». Ma la ragione principale è un’altra: «Non mi riconosco in questo Pd. Noi forse eravamo molto naïf e poco moderni, ma non parlavamo d’altro che di politica. Qui sono mesi che si parla solo di tessere e di numeri. Per parlare di politica devo rivolgermi all’amico Reichlin, che ha 88 anni».
Per Sircana la disaffezione è diffusa: «Molti si tureranno il naso e molti non voteranno proprio». Tra chi ha spiegato potrebbe non votare c’è Sergio Chiamparino. Che qui precisa: «Non mi occupo più di politica attiva e non ho ancora deciso. Se vado, non ho dubbi: voto Renzi. Ma deciderò quel giorno: il clima che si è creato non invoglia di certo ad andare a votare».
Hanno scelto il disimpegno anche altri protagonisti di stagioni passate del Pd. Riccardo Illy, per esempio: «Sono anni che non mi occupo di politica e non mi sono mai iscritto a un partito. Il Pd? Lo guardo da lontano e certo non andrò a votare». Renato Soru invece voterà Renzi: «Ma sono fuori gara». Un altro prodiano doc, Ricardo Franco Levi, tornato al giornalismo, si schiera per Renzi. Come Ernesto Carbone, che è stato a lungo un collaboratore di Prodi: «Ovviamente andrò. Ma capisco chi dei nostri annuncia che resterà a casa: in questi anni hanno ucciso il Pd. Però sono certo che dopo il voto cambieremo il partito. E chi credeva nel progetto prodiano tornerà a iscriversi e ad appassionarsi». Quanto alla Camusso, ha spiegato che non voterà perché «nel ruolo che occupo penso non sia utile schierarsi». «Strano — commenta Carbone —. Il 25 novembre, alle primarie del centrosinistra, mandò i pullman della Cgil».
Alessandro Trocino


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