Cuba, il primo stop alle riforme al bando le sale di cinema private

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NON è “l’indietro tutta” ma forse il segnale che le pur blande riforme economiche di Raúl Castro hanno aperto una contesa dentro i massimi vertici del potere fra rinnovatori e conservatori sulle vie da seguire. L’altro ieri, con una nota ufficiale del Comitato esecutivo del Consiglio dei ministri, il governo cubano ha ordinato la chiusura immediata delle sale di cinema private, i locali di videogiochi e la vendita di prodotti d’importazione.
I cinema privati e le sale di videogiochi sono sorti, soprattutto all’Avana, negli ultimi mesi approfittando delle pieghe della legge sull’iniziativa privata che cinque anni fa costituì l’avvio del programma riformatore di Raúl. A differenza delle sale dello Stato, di solito mal tenute e con una programmazione da cinema d’essai, quelle private proiettano pellicole appena uscite e in 3D, importate spesso illegalmente dagli Stati Uniti o dall’Europa, ed hanno avuto subito un grande successo di pubblico. Ma l’esito e il loro
status legale indefinito hanno provocato un problema per le autorità che hanno autorizzato alcune forme di iniziativa privata ma vogliono nello stesso tempo proteggere le imprese di Stato. Tra l’altro la nascita delle sale private, dei locali di videogiochi e della vendita di prodotti importati (dai vestiti ai rossetti fino ai tagliaunghie) per le strade della capitale ha favorito anche l’arrivo di investimenti privati dall’estero. Piccole società o imprenditori che hanno scommesso sulla formazione di un nuovo mercato interno grazie alla riforme. È il caso di un canadese citato dall’Associated Press che ha aperto una sala 3D investendo 100mila dollari solo per le attrezzature.
L’accelerazione alle modiche pillole di capitalismo sull’iniziativa privata consentite dal regime deve aver fatto scattare l’allarme provocando l’intervento del governo per reprimere e regolare una situazione che rischiava di andare “fuori controllo”. Dall’avvio
delle riforme economiche nel 2008 l’isola ha attraversato numerosi “stop and go” ma è la prima volta che il governo interviene in modo drastico contro il cosiddetto “cuentapropismo”, il lavoro in proprio, che secondo stime pubbliche ha generato oltre 400mila posti di lavoro in pochi anni. Dietro alla chiusura delle sale cinematografiche private sembra però esserci anche altro. E come nel caso della crociata contro il reaggeton, il ballo apertamente osceno che fa impazzire i Caraibi, c’è il desiderio del regime di continuare a gestire la politica culturale. Non a caso qualche giorno prima dell’ordine di chiusura su un organo ufficiale come
Juventud Rebelde si poteva leggere: «Le sale private promuovono molta frivolezza, mediocrità, pseudocultura e banalità. Questo è il contrario di una politica che dovrebbe esigere solo la qualità per il consumo culturale dei cubani». Niente James Bond e tanta “Corazzata Potemkim”, avrebbe detto anni fa qualcuno.


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