Cota, il collezionista di scontrini che non vuole andare a casa

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Il leghista che surclassa anche il bigamo più incallito, risultando in grado di mangiare contemporaneamente in luoghi distanti, e di pagare fino a cinque conti diversi per un totale di ben ventidue coperti una sera di giugno in un ristorante dei Parioli. Torna a casa,
Cota.

Per quanto non si sappia bene se la sua casa vera sia a Novara o a Milano. L’unica certezza per anni è stata quella di trovarlo nella sede leghista di via Bellerio se lì c’era Bossi, dietro al quale girovagava come un segugio, quando il senatur
era ancora in auge. Divenuto governatore del Piemonte sull’onda dell’ultima grande vittoria elettorale della destra, nel 2010, con un margine ristretto di diecimila voti per cui risultarono decisivi quelli di una Lista dei Pensionati presentata con firme risultate poi false, Roberto Cota visse il suo momento di gloria: con lui si completava il quadrilatero padano, la Lega pur rimanendo minoranza fra gli elettori del Nord conseguiva l’en plein di una maxi-regione protesa verso l’indipendenza. Ma il suo non tardò a rivelarsi il lato debole del fronte leghista.
Torna a casa, Cota. Ben presto i piemontesi, a cominciare dai campanilisti gianduiotti di Torino che avevano simpatizzato per il leghismo canoro di Gipo Farassino, fino ai sospettosi langhetti del cuneense dove un tempo Domenico Comino facilitava la distribuzione dei contributi agricoli Ue, mica lo hanno mai considerato davvero uno di loro a quel tipo di Novara trafelato, sempre in televisione con la sua chiacchiera prolissa e del tutto priva d’ironia. Difatti Cota faticò subito a tenere insieme un consiglio regionale già in partenza scosso da uno scandalo di malasanità, divenuto litigiosissimo e infine rivelatosi il bengodi degli scrocconi. Con i suoi eletti di centrodestra che ora cascano dalle nuvole quando i magistrati li interrogano sui rimborsi pazzi: davvero non si poteva? Ma se da noi si è fatto sempre così… Torna a casa, Cota. Sprovvisto della grandeur consumistica di un Formigoni — non lo beccheremo mai su jet privati o a bordo di yacht in costume da bagno — le sue erano tutto sommato spese minori, tentazioni da autogrill, capricci cioè da travet della politica che al massimo si concedeva un foulard o un videogioco, mentre considerava suo dovere offrire (mica di tasca sua, che signore) pranzo e cena alla scorta, ma con la vitaccia che faceva volevate forse negargli qualche pacchetto di sigarette a carico del contribuente? Naturalmente tutta colpa della segretaria se, grazie alle celle telefoniche, gli inquirenti lo hanno beccato 115 volte in località diverse da quelle in cui risultavano i suoi acquisti. Povera segretaria, e pensare che se l’era scelta bene: la figlia del capogruppo leghista in Regione, tanto per confermare lo stile del movimento.
Così il discredito s’è abbattuto su un uomo dal profilo tipico degli arroganti fragili, il quale adorava mostrarsi di fianco al capo di turno, ma che, divenuto egli stesso capo, litigò subito anche dentro alla sua Lega: prima di lui se n’è già andato a casa l’altra camicia verde di Novara, Massimo Giordano, rivale interno, dimessosi da assessore.
Tutto ciò non risulterebbe spettacolare e involontariamente comico se Cota non pagasse anche la straordinaria esposizione mediatica in cui si cimentò, quasi che andare in televisione fosse divenuto per lui un bisogno spasmodico. Per anni è stato il leghista di riferimento di Bruno Vespa. Una presenza così assidua che oggi gli si ritorce contro: per quanto egli descriva la sua come una vita terribile, completamente dedita alla causa politica, riesce difficile pensare che quelle maratone televisive non corrispondessero a una sua pulsione perversa.
Già ridotto a figura tutto sommato marginale nel gruppo dirigente della Lega di Maroni, l’ansia moralizzatrice dell’astro nascente Matteo Salvini difficilmente lo risparmierà. L’aspirante neo-segretario già deve fare i conti con le fatture alberghiere della portavoce di Maroni al Viminale, Isabella Votino, guarda caso passata ora in forza al Milan. Col governatore del Piemonte caduto nel ridicolo non può certo permettersi di snobbare la campagna di dimissioni dagli incarichi regionali avviata dall’opposizione di centrosinistra. Dietro a cui già si scaldano un Sergio Chiamparino o un Oscar Farinetti per la reconquista dei torinesi e dei langhetti Pd. Torna a casa, Cota, che l’è mej.


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