Cassa in deroga, giro di vite del governo
ROMA — Nata per rispondere all’emergenza della grande recessione, la cassa integrazione in deroga sta diventando l’opposto di ciò che doveva essere. Era stata pensata come uno strumento flessibile di uno Stato capace di rispondere alle nuove esigenze del welfare. Rischia di dimostrarsi un ingranaggio caotico, incapace di assicurare un reddito a chi lo ha perso e un ostacolo sulla strada di una protezione sociale moderna.
Il caso dei circa 350 mila cassa in deroga rimasti senza trasferimenti sta per produrre nuovi sviluppi: anche perché l’attuale sistema di tutela dei lavoratori espulsi dalle piccole imprese ha (in parte) fallito nel suo compito, il governo si appresta a ridurne la portata. L’intenzione nel prossimo anno è di preparare il terreno in vista del passaggio ai nuovi istituti per i senza lavoro: i fondi di solidarietà e all’Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego, varati dal governo di Mario Monti nel 2012.
Nei prossimi dieci giorni, Enrico Giovannini e Fabrizio Saccomanni dovranno firmare un decreto interministeriale sui criteri per la cassa in deroga nel 2014. Di quello che stanno per decidere i titolari dei dicasteri del Lavoro e dell’Economia ancora non si sa molto per ora. Un punto però sembra essere certo: i due ministri, che su questo fronte hanno potere decisionale diretto, intendono restringere i criteri per l’accesso a questa forma di reddito di assistenza. Da ciò che filtra sugli orientamenti di Saccomanni e Giovannini, sembra già scontato che sulla cassa in deroga ci sarà un giro di vite a partire dall’anno prossimo. In particolare sono due gli aspetti che il decreto interministeriale in arrivo intende affrontare: la durata del sostegno per chi lo ottiene e la prorogabilità degli accordi.
In vista del passaggio ai nuovi ammortizzatori, il ministero del Lavoro punta dunque a limitare progressivamente nei prossimi anni il numero di mesi per i quali i lavoratori possono ricevere questo assegno sociale. In più, si intende bloccare ogni forma di prorogabilità del diritto al sostegno quando questo scade. Oggi invece, nella gran parte dei casi, le regioni, le imprese e i sindacati tendono a prorogare quasi a oltranza gli ammortizzatori in deroga quando i termini arrivano al termine. Uno degli obiettivi del decreto in preparazione è indurre le regioni a scelte di spesa sociale sulla base di criteri più omogenei fra loro.
La Cig in deroga era partita nel 2009 per ogni tipo di piccole imprese che non devono versare contributi all’Inps per gli ammortizzatori. Da allora la “deroga”, con il crollo del Pil e la crisi di decine di migliaia di piccole imprese, è diventata una sorta di promessa di reddito di ultima istanza. Salvo poi non pagare ai lavoratori gli assegni promessi per mancanza di fondi. Ora il governo intende accelerare la transizione ai nuovi ammortizzatori, nei quali la discrezionalità è minore e gli automatismi (in teoria) più efficienti. Le somme per la Cig in deroga scenderanno: per il 2014 sono messi in bilancio 1,6 miliardi, 700 milioni per il 2015 e 400 milioni per il 2016. Questo strumento d’emergenza del welfare va a morire. Ammesso, ma per ora non concesso, che funzioneranno meglio quelli che lo sostituiranno.
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