Carcere, ”per la rieducazione meno di 20 centesimi al giorno”

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ROMA – Quattro euro al giorno per i tre pasti giornalieri, poco più di un euro a pasto, che sia pranzo, cena o colazione. Venti centesimi al giorno per le attività trattamentali e rieducative. Otto centesimi per il trattamento della personalità ed assistenza psicologica. Molto meno di un caffè al giorno. È quanto spende l’Italia per ciascuno dei circa 64mila detenuti nelle carceri dello stivale. Costi che quando si parla di carcere spariscono dietro quelli necessari per la realizzazione o la ristrutturazione di istituti di pena vecchi e nuovi, ma che oggi sono al centro della scena in occasione del 46° Convegno nazionale del Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario – Seac, in corso presso il carcere di Regina Coeli a Roma. Un appuntamento di due giorni, oggi e domani 9 novembre presso l’Istituto Suore di Maria Bambina, in via Paolo VI a Roma, per parlare di costi umani e costi sociali del sistema carcerario italiano, in un confronto aperto tra volontariato e istituzioni.

Senza il volontariato, il nulla o quasi. “Avere meno di 20 centesimi al giorno per la rieducazione significa che se non ci fosse quel po’ di volontariato in alcune carceri non ci sarebbe assolutamente niente, proprio niente – spiega Luisa Prodi, presidente del Seac -. Nell’assoluta necessità di dare da mangiare e dare una saponetta, la rieducazione diventa genere voluttuario. Lo stravolgimento totale dell’articolo 27 della Costituzione italiana, quando invece la rieducazione non è un di più, ma carne e sangue della pena”. Eppure, facendo un po’ di calcoli su come vengono impiegati i fondi stanziati sulle carceri italiane, emergono cose interessanti. “Fatta cento la spesa per il detenuto – aggiunge Prodi -, 85 sono le spese di personale, inteso come agenti, personale amministrativo, educatori e altro”. Una distribuzione dei costi comprensibile, chiarisce Prodi, anche se “trattandosi di una pubblica amministrazione è una cifra troppo alta”. Facile comprendere che le percentuali per il funzionamento delle strutture, per il vitto e i generi di prima necessità abbiano percentuali nettamente inferiori. Tuttavia, raccogliere dati sul carcere non è così facile, spiega Prodi.  “Ci sono dati difficili da conteggiare e da ascrivere a voci di bilancio, ci sono parecchie mani che contribuiscono: c’è lo Stato, i provveditorati regionali, le competenze degli enti locali. Non è stato facile trovare le informazioni e spesso non siamo riusciti a trovare dati disaggregati o letti in modo comparativo”.

Il sovraffollamento peggiora le cose. “Il sistema è fatto in modo lo stanziamento di fondi è lo stesso, sia con 70 mila che con 40 mila detenuti” ha aggiunto Prodi . E poi c’è il problema delle porte girevoli. “I primi giorni di detenzione sono costosissimi – ha aggiunto -, c’è il colloquio con il medico, con l’educatore e altri ancora. Se si considerano tutti questi costi per poi tenere una persona in carcere una settimana, dal punto di vista dell’analisi della spesa, è di una inutilità assoluta. Occorre trovare modi diversi di punire un certo tipo di reati”. Un problema di risorse che ricade in particolar modo sulle attività trattamentali che “vengono ulteriormente selezionate e non proprio incentivate”, ha aggiunto Prodi. “Nel carcere dove opero io, quello di Pisa, quest’estate ci è stato detto di non entrare perché gli agenti erano in ferie. Quindi niente attività estive, che poi servono solo per ingannare il tempo, tornei e altro. È una questione che si avvita su se stessa, perché meno fai rieducazione, l’ambiente si fa più pesante e si creano problemi. E la gente esce dal carcere uguale a prima, se non peggio”.

Serve più coraggio in Parlamento. Uno spartiacque nella storia degli istituti di pena italiani potrebbe essere proprio la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia per il sovraffollamento delle carceri.È stato un bello scossone” ammette Prodi e gli stessi messaggi del Presidente della Repubblica, sono un segnale d’attenzione. “Ci si rende conto che c’è una scadenza e che è un affare serio – spiega Prodi -. L’Europa ci ha dato un anno di tempo, ma non può continuare a chiudere un occhio. La sentenza è già stata pronunciata. La situazione è critica e credo che un gran parlare di carcere negli ultimi tempi sia dovuto alla consapevolezza che il problema c’è, ma non ho molta fiducia nel nostro Parlamento. Lo scandalo è che ci si impantana in vicende non così importanti, mentre da anni abbiamo migliaia di detenuti che sono in un regime di semitortura. C’è da prendere una decisione e il Parlamento deve avere il coraggio se fare l’amnistia o l’indulto o se cambiare le leggi. Anche se non lo riesce a fare entro fine maggio, serveun segnale, che per ora ancora non c’è”. Per Prodi, però, l’amnistia è un “atto di disperazione”, mentre invece servirebbe un intervento strutturale, “quello che a tutti appare molto complesso e difficile, ma è quello che riteniamo essere l’unico che possa avere una buona riuscita. Inventare modi diversi per far eseguire la pena. Non c’è solo il carcere”. (ga)

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