Campi rom, lo spreco della segregazione

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La cosiddetta popolazione zingara conta 170 mila persone e più della metà ha la cittadinanza italiana. Molti da generazioni, alcuni da secoli. Sono «solo» 40 mila quelli che vivono ancora nei campi (un quarto del totale). Chi è costretto a sopravvivere in baracche, roulotte o container, circa il 40%, lo fa in campi regolarmente gestiti dalle amministrazioni comunali.
Fatte queste premesse, ridimensionato il «problema», arriva il momento di fare due conti. Solo così, davanti all’evidenza, ci sarebbero tutti i presupposti per affrontare una delle questioni più spinose per tutte le amministrazioni comunali, cioè il superamento della segregazione nei campi e l’avvio di politiche di inclusione abitativa in semplici appartamenti condominiali. O case popolari. Perché non è affatto vero che rom e sinti si ostinino a preferire la vita nei campi piuttosto che in un bilocale, e perché è altrettanto falso sostenere che non ci siano risorse pubbliche sufficienti per uscire definitivamente dalla logica del ghetto. Anzi. I soldi ci sono e vengono buttati via proprio per mantenere così com’è quel sistema fallimentare dei campi. Lo dimostra, snocciolando nude cifre con piglio da spending review e zero retorica antirazzista, il documentato rapporto Segregare costa. La spesa per i campi nomadi a Napoli, Roma e Milano curato dalle associazioni Berenice, Compare, Lunaria e OsservAzione. Si tratta di una ricostruzione dettagliata dei costi delle politiche dei campi, dove si evidenzia lo spreco di risorse pubbliche: tra il 2005 e il 2011, nelle tre città prese in esame, sono stati stanziati almeno 100 milioni di euro per allestire e gestire i campi.
Il primo dei casi esemplari è quello di Napoli. Nel capoluogo campano, nei sette anni presi in esame, sono stati stanziati quasi 18 milioni di euro per l’allestimento dei campi rom. Tuttavia, «solo una quota di questi fondi è stata impegnata», ovvero 572mila euro; cui si aggiungono 4.466.570 euro stanziati per un contratto tra il Comune e una cooperativa per la realizzazione di uno specifico campo, e circa 3 milioni di euro per forniture idriche ed elettriche (totale: 25 milioni di euro circa).
A Roma, invece, sempre dal 2005 al 2011, il mantenimento del sistema dei campi rom ha comportato una spesa complessiva pari a 69.869.486 euro. La maggior parte di questi soldi è servita per la gestione ordinaria (quasi 20 milioni di euro, cui ne vanno aggiunti 12,6 per investimenti vari), per gli interventi curati dall’Ama (9,4 milioni) e per la bonifica delle aree (8,1 milioni); infine, 6,5 milioni sono stati allocati sotto la voce «lavori di manutenzione» e altri 2,4 per servizi vari a sostegno delle famiglie rom. Per gli interventi di scolarizzazione, invece, il Campidoglio ha investito poco più di 9 milioni di euro. Quanto alle operazioni di sgombero, quelle che hanno fatto scandalo persino in Europa, «la documentazione ufficiale raccolta non ha permesso di ottenere informazioni», si legge nel rapporto. Ma due conti si possono azzardare; la cifra per ogni sgombero è stimata intorno alle 15-20 mila euro, e solo nel periodo compreso tra il 31 luglio 2009 e il 24 agosto 2012 ne sono stati fatti circa 450.
Sul «caso Milano» le cifre a disposizione sono senza dubbio più che parziali, visto che gli autori della ricerca sono riusciti a ottenere informazioni relative solo ad uno stanziamento irrisorio (poco più di 2 milioni di euro), e a quegli 8 milioni e mezzo del «piano Maroni» per «interventi di riqualificazione e messa in sicurezza dei campi»; ma erano i tempi delle giunte di centrodestra.
In sintesi, scrivono i ricercatori, «si tratta di soldi pubblici che potrebbero essere impiegati in modo diverso cambiando del tutto approccio: non servono soluzioni speciali, temporanee e ghettizzanti, ma progetti di inclusione abitativa, sociale e lavorativa finalizzati alla reale autonomizzazione dei rom». Servirebbe «un piano di chiusura dei campi», ma non declinato in chiave razzista e poliziesca. Servirebbero idee e un po’ di coraggio: sostegni economici per l’inserimento abitativo, housing sociale, promozione di interventi di auto recupero di strutture pubbliche abbandonate, per esempio. Alcune sperimentazioni sono già in corso a Pisa, Padova, Bologna. Anche a Milano. A Roma (dove gli sgomberi continuano) è ancora in vigore una circolare targata Gianni Alemanno che impedisce alle famiglie rom di accedere alle graduatorie per le case popolari. A Milano (dove gli sgomberi continuano) proprio l’altro giorno la consulta rom e sinti si è riunita al centro culturale San Fedele per lanciare accuse pesanti alla giunta di Giuliano Pisapia. Oltre a ritenere insufficienti gli stanziamenti per l’inclusione scolastica, ed a protestare per la sospensione dello scuolabus che accompagnava i bambini a scuola, la consulta denuncia «il grave abbandono dei campi» e punta il dito contro «gli sgomberi e le demolizioni».


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