“Bankitalia vale fino a 7,5 miliardi”
MILANO — Il processo di rivalutazione delle quote di Bankitalia va avanti. Ieri il ministero dell’Economia ha pubblicato lo studio che aveva commissionato alla stessa Banca d’Italia, perché stabilisse il valore del suo capitale, fermo all’anacronistico valore di 156 mila euro, cioè i 300 milioni di lire fissate nel 1936.
Ebbene, il lavoro svolto da via Nazionale, con il coinvolgimento anche di esperti (Franco Gallo, Lucas Papademos e Andrea Sironi) è arrivato alla conclusione che il valore del capitale della banca centrale potrebbe toccare i 7,5 miliardi di euro e comunque si colloca all’interno di una forchetta che va da 5 a 7,5 miliardi. Una stima cui si arriva soprattutto attualizzando i flussi di reddito che l’attività economica genera e che, sempre nelle ipotesi dei tecnici di Banktalia, possono essere individuati in dividendi annuali tra 360 o 420 milioni (calcolando un tasso di dividendo del 6%).
Sono molti i soggetti interessati alla manovra di rivalutazione del capitale di Bankitalia. A partire certo dalle banche (azioniste principali di Palazzo Koch insieme ad assicurazioni e istituti previdenziali) che puntano in questo modo a rafforzare il proprio patrimonio – soprattutto alla luce dei nuovi vincoli imposti da Basilea 3 – senza dover ricorrere eccessivamente al mercato; ma una misura del genere è vista di buon occhio anche dal governo, pensando alle finanze pubbliche, che da una simile rivalutazione potrebbe incassare tra 1 e 1,5 miliardi di nuove tasse. Alcuni ambienti politici punterebbero ad utilizzare gli introiti come copertura della seconda rata Imu, ma difficilmente i tempi tecnici di attuazione della misura (che deve essere vagliata anche dalla Bce e deve trovare un “veicolo” legislativo appropriato) potranno permettere di ottenere un incasso da mettere a bilancio già nel 2013, a sostituzione della tassa sulla casa.
Lo studio di Bankitalia parte da tre presupposti: mettere un rimedio all’eccessiva concentrazione delle quote azionare (conseguenza del processo di fusione nel mondo bancario e tali per cui Intesa ha oltre il 30% di via Nazionale e Unicredit il 22%, ad esempio); evitare gli effetti negativi della legge del 2005 – mai entrata in vigore per questo aspetto – che parla di trasferimento allo stato della proprietà di Bankitalia; infine, sancire in maniera definitiva che gli azionisti di Bankitalia non hanno diritti economici su quella parte di riserve della banca che derivano dal signoraggio, cioè dall’emissione di banconote. L’obiettivo, continua Bankitalia, è invece di ampliare la base azionaria (anche se “gli investitori istituzionali di medio periodo” citati dal rapporto non sembrano di facilissima individuazione) e di “attribuire ai partecipanti un flusso futuro di dividendi”.
Sul fronte delle famiglie, invece, il perdurare della crisi e quindi della paura per il futuro ha fatto crescere la propensione al risparmio che, dopo il minimo storico dell’8,4% raggiunto nel 2012, dovrebbe aumentare nel 2013 di circa un punto percentuale (a scapito dei consumi). La stima viene dall’Osservatorio Risparmi delle Famiglie di Gfk Eurisko e Prometeia che evidenzia anche come il risparmio su investimenti finanziari si riduca ancora, ma crescono i fondi comuni di investimento che a fine 2013 dovrebbero costituire più dell’8% del totale delle attività finanziarie. Secondo le previsioni, la parte dedicata al risparmio dovrebbe crescere ancora nel prossimo triennio.
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