Bachelet II e i comunisti Un’alleanza rossa per il Cile
RIO DE JANEIRO — I sondaggi, senza margini di dubbio, danno per certo il ritorno di Michelle Bachelet alla presidenza del Cile. Si vota oggi — insieme al rinnovo per la Camera e metà Senato — e non dovrebbe servire un secondo turno. Perché è molto alto il margine di vantaggio della candidata di centrosinistra che già governò il Cile tra il 2006 e il 2010. A Evelyn Matthei, la principale avversaria che rappresenta la destra, non dovrebbero andare nemmeno il 15 per cento dei suffragi. Il resto è diviso tra altri sette candidati, senza nessuna chance.
Giochi fatti e sguardo al futuro. Tranne gli ultimi quattro anni, il centrosinistra ha sempre governato il Cile post-dittatura, e ora si prepara al gran ritorno, dipinto di nuovo. L’alleanza Dc-socialisti si chiamava Concertación ed è stata ribattezzata Nueva Mayoria. Ha aperto a sinistra, ai comunisti, che rientrerebbero nell’area di governo per la prima volta dopo gli anni Settanta, dai tempi di Salvador Allende. Seppure con un peso assai limitato. Nel 2010 la Bachelet riconsegnò il governo con una ottima immagine dal punto di vista personale, ma lasciando insoddisfatti molti suoi elettori. Aveva osato poco, la sua storia personale bella e coraggiosa non era stata sufficiente a incidere nella società ereditata dagli anni del liberismo sfrenato. Il Cile della crescita economica senza fine, ma ancora ingiusto e classista.
Sia lei che Sebastian Piñera, il presidente uscente, si sono trovati per esempio ad affrontare il più indomabile movimento studentesco del nuovo millennio. I ragazzi che a centinaia di migliaia lottano per cancellare l’università pubblica voluta da Pinochet, dove tutti pagano salato per studiare e i più poveri sono costretti a indebitarsi per anni. Stavolta la Bachelet giura che la riforma della scuola e dell’università verrà fatta. I ragazzi le danno credito. Cinque tra i leader studenteschi si candidano al Parlamento, tra i quali Camila Vallejo nelle file comuniste: qualche anno fa la sua immagine fece il giro del mondo. Altri retaggi del passato da smantellare, promette la candidata socialista, sono nel sistema fiscale, troppo poco progressivo e generoso con le imprese, e in molti passaggi della Costituzione, che è ancora quella voluta dai militari. Niente bacchetta magica, però: la Bachelet dice che per arrivare all’università gratuita ci vorranno almeno sei anni. Quanto alla riforma costituzionale tutto dipenderà dalla maggioranza che si formerà in Parlamento. «Un Chile de todos» è lo slogan della campagna.
La destra, in evidente crisi di uomini e idee, ammonisce contro il pericolo di una svolta a sinistra che metta a repentaglio il miracolo cileno. Quel Paese stabile che cresce sempre almeno del 4 per cento all’anno, ha la più ampia apertura a merci e capitali dell’America Latina, i conti in ordine, l’inflazione bassa e un tasso di disoccupazione sotto il 7 per cento. Ma la maggioranza uscente ha un problema di leadership. Prima della candidatura Matthei sono caduti altri due candidati: uno per scandali, l’altro per esaurimento nervoso. E poi c’è il fallimento di Piñera. L’imprenditore miliardario che ha ceduto tutto per servire il suo Paese esce di scena con una popolarità molto bassa.
Società pragmatica, quella cilena si è quasi dimenticata durante la campagna la straordinaria vicenda umana delle due contendenti. Entrambe figlie di generali e amiche da bambine: il padre della Bachelet muore dopo le torture per essersi opposto al golpe, quello della Matthei è il capo dell’accademia dove il collega è detenuto. Poi diventa un pezzo grosso del regime, ministro e comandante dell’aeronautica. Se n’è parlato solo una volta durante la contesa, il giorno di una commemorazione, e mai nei dibattiti televisivi.
Rocco Cotroneo
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