by Sergio Segio | 7 Novembre 2013 8:14
RAMALLAH — Centootto pagine di relazione medica di dieci clinici di fama mondiale sulla morte di Yasser Arafat, vorrebbero mettere fine a uno dei grandi misteri del Medio Oriente: il leader dell’Olp venne avvelenato la sera del 12 ottobre 2004 con il polonio 210. Tracce evidenti dell’isotopo radioattivo sono state trovate nei resti di Arafat, riesumati l’anno scorso a novembre dal Mausoleo da esperti svizzeri, francesi e russi. I risultati del team dell’istituto di Losanna hanno rivelato nei resti del presidente palestinese concentrazioni di polonio-210 di almeno 18 volte superiori alla media, una quantità in grado di uccidere. Tenendo in considerazione gli otto anni trascorsi dalla morte di Arafat e la qualità dei campioni prelevati, nel rapporto svizzero si afferma che i risultati emersi «avvalorano moderatamente l’asserzione che la morte sia stata la conseguenza di avvelenamento da polonio 210».
L’indagine condotta dagli esperti svizzeri ha portato alla scoperta di livelli «inaspettatamente alti» di polonio 210 nei frammenti di tessuto e ossei di Arafat. David Barclay, medico legale britannico di fama internazionale che per Al Jazeera ha studiato la relazione svizzera, ha sottolineato come le analisi abbiamo evidenziato livelli di polonio almeno 18 volte superiori alla norma nelle costole e nel bacino di Arafat. «Le analisi dimostrano che è stato ucciso, è morto per avvelenamento da polonio. Abbiamo trovato la pistola fumante, non sappiamo chi l’ha impugnata ».
I servizi segreti israeliani hanno sempre negato ogni coinvolgimento (invocando anche una promessa fatta dall’allora premier Ariel Sharon a Bill Clinton di «non attentare all’incolumità di Arafat») e ieri il governo ha parlato di «un’interminabile telenovela senza alcuna credibilità» Ma come arrivò il polonio 210 fino al vassoio della cena di Arafat la sera del 12 ottobre 2004? Quali fra i tanti nemici del presidente palestinese, sfuggito ufficialmente a 13 tentativi di assassinio, è riuscito a penetrare così profondamente nella Muqata, dove Arafat era assediato e circondato solo dalla cerchia dei suoi fedelissimi? «C’è stato certamente un traditore», non hanno dubbi quelli della Preventive Security, i servizi segreti palestinesi, il loro intimo convincimento per anni è diventato una certezza.
Arafat mangiava pochissimo. Una volta al giorno i suoi bodyguard andavano in un popolare ristorante di Ramallah a prendere l’unico pasto che consumava durante la giornata. Il polonio-210 era probabilmente contenuto nel kebab o nella frutta che Arafat mangiò la sera del 12 ottobre 2004; quattro ore più tardi iniziarono i primi sintomi — vertigini, vomito, nausea — di quella che venne scambiata
per un’influenza. Quando su un elicottero giordano partì verso Parigi, le tv inquadrarono un uomo magro, esile, col volto scavato: morirà l’11 novembre del 2004 all’ospedale militare di Percy senza che oltre 50 medici francesi fossero stati in grado di capire qual era la “ma-lattia” che aveva ucciso Etienne Duvet, il falso nome con cui era stato ricoverato. «Stiamo rivelando un vero crimine, un assassinio politico», dice oggi ad Al Jazeera Suha Arafat, da Parigi. Ma dopo la morte del presidente palestinese non fu eseguita alcuna autopsia proprio su richiesta della vedova, e i suoi resti furono riesumati solo nel novembre 2012 (otto anni dopo la morte), dopo che una prima serie di analisi sugli indumenti personali in luglio aveva evidenziato tracce della sostanza radioattiva che nel 2006 a Londra aveva ucciso nello stesso modo l’ex spia russa Aleksandr Litvinenko. Da allora Suha Arafat avrebbe cominciato ad avere i primi dubbi sulla morte del raìs palestinese. «Adesso questi risultati », dice ancora la vedova, «confermano i nostri dubbi. È scientificamente provato che la sua morte non fu dovuta a cause naturali e abbiamo le prove che fu ucciso».
Le rivelazioni sulle conclusioni degli esperti svizzeri hanno anticipato gli esiti dell’indagine medico legale parallela che è stata condotta da specialisti moscoviti. Tace per ora la Commissione d’inchiesta palestinese guidata dal generale Hisham Tirawi — che comanda i servizi segreti palestinesi — che lunedì ha ricevuto le conclusioni degli esperti svizzeri. Disvelato, forse, il primo mistero che alimenta però un clima di sospetti che riporta in primo piano le trame che si muovevano allora attorno al vecchio presidente palestinese. Perché l’avvelenatore è stato uno, o più d’uno, ma certamente della cerchia dei suoi fedelissimi.
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