Albania, l’intero villaggio coltiva marijuana

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LAZARAT (Albania) — Si salva soltanto il cimitero. Unico angolo di legalità assediato da migliaia di piante di cannabis. Di fianco a poche case. Un paio di bar con le tv sintonizzate sui canali di sole notizie. E stradine di terra battuta che portano verso le montagne.
L’odore è forte e riconoscibile. Si sente già all’ingresso di Lazarat, paesino 230 chilometri a sud di Tirana. L’aria pizzica la gola. E molti tossiscono. Donne e ragazzi lavorano intensamente. Tanto che, nelle ultime settimane, 700 di loro sono finiti in ospedale. Tutti con gli stessi sintomi: vomito, diarrea, problemi cardiovascolari. E tutti per la stessa causa: «Intossicazione da cannabis dopo aver lavorato nelle piantagioni», certifica Hysni Lluka, responsabile del pronto soccorso dell’ospedale di Argirocastro.
Entrare a Lazarat non è facile. Lo sa la polizia, che non ci mette piede da anni. Lo sanno anche i giornalisti locali. L’hanno chiamato in diversi modi. «Villaggio della marijuana». «Capitale europea dell’hashish». «Repubblica dell’erba». Di sicuro ci sono le 350 mila piante di canapa coltivate in 320 ettari. «Ogni anno da Lazarat escono 900 tonnellate di prodotto per un valore di mercato pari a 4,5 miliardi di euro», calcola la Guardia di finanza italiana.
«Non siamo dei criminali — si arrabbia Aferdita, mentre impartisce ordini a una decina di donne —. Senza la marijuana saremmo morti: non c’è uno straccio di lavoro». Giovani e anziane tagliuzzano la cannabis sedute per terra o su contenitori rovesciati di pittura per pareti. Foglie in una mano, forbici o cesoie nell’altra, una volta finito appendono quel che resta in impalcature realizzate con assi di legno e fili di ferro. «Tra poco tutto questo sarà essiccato, tritato e imballato», continua Aferdita.
A Lazarat nove famiglie su dieci campano su questo mercato. Ognuna produce in media una tonnellata all’anno. E ogni chilo viene venduto a 300-320 euro. Gli abitanti sono poco meno di quattromila. Ma in questi giorni se ne contano il doppio. Gli altri sono «lavoratori stagionali». Arrivano dal Centro e dal Sud la mattina, vanno via dopo il tramonto. «Ci pagano bene, trentamila lek al giorno», racconta Marjola, di Valona. Sono poco più di venti euro. «Ho tre figli da sfamare e mio marito è morto». E intanto continua a tagliuzzare, a tossire, a scrollarsi di dosso i pezzettini di pianta che si sono incastrati sulla maglietta. «Per fortuna che c’è la cannabis», aggiunge Agron, un altro coltivatore. «Non so altrimenti come avremmo fatto senza. Siamo dimenticati da tutti: dalle autorità locali, dallo Stato, anche dagli stranieri».
Per far crescere le piante, spiega Agron, «serve tanta acqua». Acqua che a Lazarat arriva a singhiozzo. Così devono ricorrere alle autobotti. Il lavoro è così diviso: le donne e i ragazzini si occupano della coltivazione, della raccolta, della tritatura. Gli uomini del trasporto. La marijuana viaggia nei bagagliai delle auto. O in sella a cavalli e asini che percorrono i sentieri dove la polizia non si vede. L’Italia è ormai il mercato principale. Ci arriva attraverso gommoni o navi. Sbarca in Salento, a Bari o Brindisi. Poi si diffonde. L’ultimo maxi-sequestro, pochi giorni fa a Durazzo: 600 chili in un camion che stava per imbarcarsi per Bari.
«Non riusciamo a intervenire in modo efficace a Lazarat», ammette il capo delle forze dell’ordine, Artan Didi. «Quel posto è una macchia per noi, abbiamo bisogno dell’aiuto degli altri Paesi». E in linea con l’ondata legalitaria del governo socialista di Edi Rama, lo stesso Didi assicura: «Puniremo i poliziotti corrotti».
Le coltivazioni sono in aumento. «Il 40 per cento in più rispetto al 2012», calcola Adrian. La conferma arriva anche dall’ultimo dossier del Dipartimento di Stato Usa, l’«International Narcotics Control Strategy Report». Dove finiscono i guadagni? «Una parte viene riciclata negli hotel della costa albanese — spiega un funzionario dell’intelligence di Tirana —. Ma la nuova tendenza è comprare case in Italia, Spagna, Turchia. L’unico modo per sfuggire ai controlli è portare i soldi fuori». Quel «fuori» qui, a Lazarat, lo vedono solo in tv.
Leonard Berberi


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