A Melilla una frontiera di lame

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BARCELLONA. Se c’è una cosa che unisce i governi di tutto il mondo è il cinismo e la crudeltà con cui trattano quelli che considerano altri. Nei mesi scorsi nei teatri spagnoli è stato rappresentato uno spettacolo che ha raccolto critiche entusiaste: «Un pezzo invisibile di questo mondo» (Un trozo invisible de este mundo) che tratta proprio delle situazioni sempre più comuni e sempre più invisibili di vessazioni e umiliazioni a cui vengono sottoposti quelli che hanno attraversato una frontiera per raggiungere l’Europa. Una frontiera che in Spagna ha un nome: Melilla, una anacronistica enclave in terra marocchina, che la Spagna non ha alcuna intenzione di mollare. Nonostante il fatto che questo costi al governo spagnolo svariati milioni di euro all’anno. Per “difendersi” da nient’altro che migliaia di persone che cercano di superare una rete, sempre più alta e sempre più spessa, per mettere piede nel vecchio continente.
Nel 2005 su questa rete il governo Zapatero aveva fatto mettere un filo spinato dotato di lame aguzze. Con il risultato di ferire terribilmente i migranti che nonostante tutto cercavano di scavalcarla. Dopo un mare di proteste, nel 2007 le lame vennero (in parte) rimosse, e rimpiazzate con una terza rete e con sistemi di rilevamento del movimento (per il costo di 30 milioni di euro). Ora il governo Rajoy decide di tornare alle vecchie abitudini: lungo circa sei dei nove chilometri di frontiera spinata («le zone dove è più necessario», come ha spiegato il delegato del governo nella città) vuole reintrodurre entro un mese le lame, oltre a un sistema per impedire che si possano infilare le dita nella rete per arrampicarsi (stanziamento previsto: circa 2,5 milioni di euro). Negli 2013 sono state più di tremila le persone che hanno cercato di «lanciarsi» in Spagna in quelli che la polizia spagnola non esita a chiamare «assalti» e che sono solo tentativi disperati di passare dall’altra parte, schivando le botte e i proiettili della polizia marocchina, che collabora fattivamente nella repressione, e di quella spagnola. L’ultimo caso è proprio di ieri mattina all’alba, giorno festivo in Marocco (cosa che potrebbe aver favorito un abbassamento della guardia). Circa 200 persone hanno «assaltato» la rete, e un centinaio sono riusciti a passare e poi sono finiti in un centro d’«accoglienza». Ma un ragazzo subsahariano è morto, cadendo da sei metri d’altezza, quattro sono rimasti feriti e 40 sono stati arrestati. Nel frattempo sono stati avvistati molti incendi nel monte Gurugù, dove i migranti si nascondono in attesa del «salto». Normalmente, come denunciano diverse organizzazioni di diritti umani, è la stessa polizia che dà fuoco al bosco nel tentativo di stanare chi vi si nasconde.
Dopo il lutto di circostanza sfoggiato dai politici di tutte le latitudini, compresi quelli spagnoli, per la terribile fine dei migranti che hanno perso la vita il mese scorso su una barca in fiamme nel tentativo di raggiungere l’isola di Lampedusa, l’unica preoccupazione dei leader dei 28 paesi dell’Unione europea – che ha finanziato la frontiera di reti e filo spinato – è quella di allontanare il più possibile da sé la patata bollente dell’immigrazione. I numeri parlano chiaro: secondo gli ultimi dati, gli stranieri non comunitari residenti in Europa sono solo un 4,1%, e in Spagna non arrivano al 7% (in Italia il dato è del 5,5%).
Ma in Francia e in Grecia immigrati (e omosessuali) sono il bersaglio preferito di partiti di destra sempre più ringalluzziti, mentre in Germania uno dei temi messi sul tavolo dai socialisti per costituire la nuova Grosse Koalition è proprio quello dell’integrazione e della cittadinanza. Martin Schulz, presidente del parlamento Europeo e capolista socialista alle prossime elezioni europee chiede sul Der Spiegel una politica di «quote» a livello europeo per ripartire l’onere fra tutti i paesi e per non lasciare i paesi del sud a gestire il flusso da soli. Una «gestione» che in Spagna, come in Grecia e in Italia, punta esclusivamente sul contenimento: impedire l’arrivo delle persone a tutti i costi, economici e umani. Come se questo possa dissuadere persone che non hanno nulla da perdere. Lo spiega efficacemente il portavoce della ong Equo, Manuel Soria: «lo faranno attraverso la rete o con qualsiasi altro mezzo, solo che chi lo farà attraverso la rete arriverà con lesioni più gravi o morto. Non si può fermare la fame e la miseria con lame e sangue».


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