A CASA, CON DISONORE

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Quando finalmente sarà espulso dal parlamento, l’incantesimo si romperà e quell’ipnosi che in molti hanno chiamato carisma, che altri, da Montanelli a Scalfari, hanno definito come l’arte sopraffina dell’imbonitore, finalmente tornerà dentro la lampada dei desideri che non è riuscito a esaudire. Neanche uno, nemmeno quello che nel ’94 lo portò in parlamento da presidente del consiglio con la promessa di esaudire il sogno liberista del famoso «meno tasse per tutti».
Se ne vada a casa, si dedichi ai servizi (sociali), si riunisca con la sua grande famiglia, si dedichi ai figli (i suoi, lasciando stare quelli degli altri), la smetta, se ci riesce, di seminare la paura, di alimentare lo sfascio sociale che in modo così devastante ha contributo alla spoliazione del paese, fino a svuotarlo di ogni residua capacità di reazione morale, inoculando sotto la pelle della convivenza la regola che ognuno doveva vedersela da solo. Le ragazze era meglio che si trovassero un marito ricco, i ragazzi era preferibile che si aprissero una partita Iva, le famiglie avrebbero incontrato la pace accendendo il piccolo schermo delle meraviglie e il popolo avrebbe finalmente brillato della luce riflessa del suo reuccio. Oggi, la sua dipartita dal senato della Repubblica non rimarginerà le ferite, ma almeno la spina che duole sarà tolta.
E il Pd, che nulla ha fatto per liberare il paese dal potere dei soldi, che ha alimentato il berlusconismo sposandone l’ideologia che gli invidiava, lasci stare la retorica trombonesca di queste ultime ore, la smetta di scambiare gli ultimi fuocherelli dell’uomo disperato, le cartucce bagnate di un cavaliere disarcionato, per attentati alla democrazia. Non perché, con la resurrezione di Forza Italia, ieri passata all’opposizione, Berlusconi non aspiri al sovversivismo delle classi dirigenti, al tanto peggio tanto meglio. Ma per salvare la residua dignità che forse il futuro partito di Renzi ancora può spendere sul mercatino politico italiano. Perché se Berlusconi viene cacciato dal parlamento con ignominia, il Pd dovrebbe accompagnarlo alla porta chiedendo scusa per aver atteso tre mesi, dal giorno della sentenza, per arrivare al voto sulla decadenza.
Fino a giungere all’ultimo momento utile, questa sera, con una affannosa, maldestra rincorsa sul voto di fiducia alla legge di stabilità. Una (brutta) storia si giudica oltre che per come è cominciata, anche per il modo in cui è finita.


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La casa comune non vuole il cappello

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Anche se le modalità  hanno lasciato tutti basiti, i passaggi che hanno portato alla formazione del nuovo governo, quale che ne sia poi l’esito (finiranno comunque tutti in bocca a Berlusconi, Napolitano compreso), erano in qualche modo scontati. Il Pd non avrebbe mai potuto imboccare una strada diversa dopo più di un anno di sostegno senza se e senza ma a Monti, cioè al definitivo trasferimento del governo del paese dal Parlamento (già  sostanzialmente esautorato dal porcellum) alla Bce e, per suo tramite, alla finanza, ben rappresentata da Monti e Draghi. 

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