by Sergio Segio | 27 Novembre 2013 8:49
I TRIESTE — Enrico Letta sbuca che è buio dal Teatro Verdi, vede i giornalisti e allunga il passo. E quando la domanda sullo strappo di Forza Italia arriva, il premier si chiude nel loden blu e si infila in auto. Un no comment che dice molto sul suo stato d’animo e sulla sua strategia. Avanti, senza Berlusconi. Con i rischi (ma anche le possibilità) che la nuova maggioranza offre. «Le nuove intese sono meno larghe, ma più coese e dunque, potenzialmente, siamo più forti — guarda avanti Letta —. Adesso il governo ha un alibi in meno e qualche responsabilità in più».
Può suonare stridente con la tensione di queste ore, eppure il premier si ostina nel dirsi «tranquillo e fiducioso». I numeri risicati su cui il governo può contare in Parlamento non gli fanno paura. «D’altronde — è il suo ragionamento — la svolta c’è stata il 2 ottobre, quando abbiamo dimostrato di poter andare avanti senza i voti di Berlusconi. Adesso quel passaggio di chiarezza è ufficiale e va bene così». Stasera si vota la decadenza del Cavaliere dal Senato. L’ex premier chiama gli italiani in piazza e chiede la revisione del processo Mediaset, ma Letta non vuole «buttare benzina sul fuoco». Non vuole pronunciare «parole che finiscano per rendere confusa una situazione già non semplice». Il momento è decisivo e il suo governo lo vede come un baluardo, «l’unico antidoto al caos».
Atterrato a Roma da Trieste Letta sale al Quirinale e concorda, con Napolitano, la via più indolore dopo la fine delle larghe intese. La fiducia di ieri sera vale come verifica che la maggioranza c’è. Se poi il pressing per un nuovo passaggio parlamentare dovesse aumentare, Letta non lo esclude a priori. «Non siamo pregiudizialmente contrari», spiegano a Palazzo Chigi. Ciò che più lo distoglie dal suo «impegno incessante» per tirar fuori il Paese dalla crisi sono le polemiche politiche, soprattutto quelle che arrivano dal suo partito. Quando Renzi ha detto che se non si fa come vuole lui il governo è finito, Letta si è lasciato scappare un commento a caldo: «Non riuscirà a trascinarmi in un conflitto infantile tra primedonne…». Ma nulla di più, perché il premier comprende le tensioni congressuali e sta ben attento a non offrire il fianco.
Incassata la fiducia sulla legge di Stabilità al Senato, il prossimo banco di prova sono le primarie del Pd. Solo allora Letta saprà se il nuovo segretario vorrà mantenere le profferte di lealtà. L’assalto di Matteo Renzi sulla legge elettorale è inevitabile e Letta si prepara a fronteggiarlo. «Siamo i primi a volerla, l’Italia deve battere il populismo e ritrovare il suo assetto bipolare — non si stanca di ribadire —, Grillo è al 25% e, se andiamo a elezioni ora, nessuno ha la maggioranza». Renzi chiede che il governo lavori sulle idee del Pd? Letta risponde che sono anche le sue. «La riforma delle istituzioni, il dimezzamento dei parlamentari e la fine del finanziamento ai partiti sono cavalli di battaglia di questo esecutivo». E il rimpasto? Per adesso non è all’ordine del giorno. Eppure da Palazzo Chigi non arriva un «no» pregiudiziale a una verifica di maggioranza. «Ma vediamo, aspettiamo — prende tempo il premier, parlando con i collaboratori —. Il nuovo segretario sarà un nostro interlocutore privilegiato. Una leadership forte e un Pd forte non possono che dare una marcia in più all’esecutivo».
Monica Guerzoni
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